SPOILER
SPOILER
SPOILER
SPOILER!
Benissimo.
Oserei quasi dire che, per quanto mi riguarda, siamo di fronte al meglio di questa fase interlocutoria [contando, però, che non ho ancora letto
Il principe d'inverno, e difficilmente lo farò].
Ho sempre intravisto delle qualità interessanti in Di Gregorio, e adesso, a maggior ragione, credo che, se disciplinato e insieme lasciato il più libero possibile, possa addirittura porsi come leader degli autori "non allineati" - termine mutuato dalla geopolitica per indicare, in questa sede, quegli autori che non appartengono alla ristretta cerchia di chi possiede le redini della rinascita della testata: Recchioni-Barbato-Medda, per intenderci, con Sclavi a tessere le fila nell'ombra.
Anche perché non credo che Ambrosini e soprattutto Chiaverotti saranno molto presenti [se ci saranno].
... e lascia un bel cadavere mi aveva leggermente interdetto, la storia del Maxi mi aveva divertito, questa mi ha pienamente soddisfatto.
Un climax ascendente che spero continui a pieno regime.
Se non ricordo male, in fase di anteprima, criticai sia titolo che copertina.
Sulla copertina ribadisco la prima impressione, a lettura consumata: mero effetto speciale che veicola solo debolmente il messaggio di fondo [duplice, come vedremo], tirandolo per i capelli verso la facile presa del senso estetico del lettore [che si spera essere legato a certe espressioni di pop art, immagino].
Il titolo, invece, mi suona ora come uno dei più densi degli ultimi tempi, soprattutto se declinato in forma di interrogativo:
Perché la morte non basta?
Continuo a rilevare, inoltre, che l'Horror Club non funziona, e credo anche di aver capito perché.
Innanzitutto, purtroppo, ho rilevato un clamoroso spoiler nella misura in cui viene segnalato l'utilizzo ironico e grottesco della Morte, scivolone maldestro che mi ha fatto subito intendere [a me che non sono esattamente un fulmine di guerra, in quanto a intuizioni narrative] verso dove si sarebbe incanalata la storia, o almeno gran parte di essa. Si poteva evitare.
E poi, soprattutto, credo che Recchioni sia più abile ad "allontanare" l'interlocutore, piuttosto che attirarlo a sé, proprio come tratto caratteriale.
È chiaro che, in una rubrica che si pone come ovvia
captatio benevolentiae, un temperamento come quello recchioniano risulti forzatissimo. Ma non è una critica eh, anzi, è sicuramente interessante che le disposizioni caratteriali di un autore si riflettano su quello che scrive, però ecco, lascerei il Club a qualcun altro.
O meglio ancora, adorerei leggerlo nel caso in cui Recchioni stroncasse e/o sconsigliasse l'albo in questione. Sarebbe divertentissimo.
Detto ciò, passiamo ai contenuti: l'interrogativo, dicevo.
L'albo vince proprio grazie a una struttura peculiare, quasi a matrioska, nel tentativo di rispondere all'interrogativo di cui sopra in due modi, di fronte a un casus belli bizzarro che si presenta come quadruplice:
1) qualcuno muore
2) quel qualcuno risorge
3) quel qualcuno uccide
4) sempre lui muore di nuovo.
Per il primo punto, purtroppo, non esistono possibili modalità di risposta, se non fataliste o biologiche. La narrazione, ovviamente, se ne occupa solo in minima parte, assumendolo come dato necessario e inevitabile [come rimarcato più volte da diversi personaggi].
Accantonando momentaneamente il secondo punto, che risorgerà [eh..] a testa alta dopo, il terzo punto rappresenta il grosso della trama principale [quella già anticipata dal Club], e la risposta è questa: i ritornanti uccidono perché si sono offerti come tirocinanti della Falciatrice.
Ergo, la morte non basta, in questo caso, perché ha davvero troppo lavoro da fare. In attesa che i vivi trapassino in attesa di occupazione, meglio sfruttare chi si è già portato avanti con la decomposizione.
Su questa soluzione, quoto a grandi linee quanto già espresso dai commenti precedenti: divertente, simpatica, attuale e al passo coi tempi, ma poco originale nella misura in cui si presenta come una variazione sul tema "utilizzo alternativo e possibilmente bislacco della Morte".
Mi ha ricordato molto una storia che, se non erro, si chiamava
Chiamata dall'inferno, tanto per fare un esempio.
Ma la storia non finisce qua, in teoria e in pratica.
Restano altri due punti, accomunati da un'unica risposta, quanto mai amara, e questa sì, degna di riflessione.
Perché qualcuno ogni tanto ritorna, e perché poi se ne va di nuovo?
È il cruccio di Dylan, e della sua Gloria.
Un tarlo insopportabile che il nostro scioglierà proprio nell'ultima pagina:
persino la morte è transitoria.
La morte non basta, perché anche lei è destinata a essere travolta dal tempo, nuova figura nefasta che emerge con prepotenza da queste pagine.
La morte è sconfitta in prima battuta dal ricordo ancora vivo e tangibile del defunto [ecco il punto 2], e poi dal suo rinnovato oblio, o attenuazione dettata dal tempo [punto 4].
Alla fine, non rimane davvero altro che una foto.
Una narrazione intrecciata, condotta su un doppio binario parallelo, vivificata da una doppia anima, ironica e drammatica.
Funziona tutto, intrattiene e colpisce.
Di Gregorio ce lo racconta con vivacità e anche una certa fantasia.
La reiterazione "differenziata" su tema comune [per intenderci, le varie scene di omicidio dei ritornati], mi hanno addirittura ricordato la freschezza con cui Chiaverotti infieriva con le sue fissazioni sul tema centrale dei suoi albi [caratteristica poi esplosa, in positivo e negativo, su Brendon].
Forse sono io che mi accontento di poco, ma preferisco attribuire tutti i meriti all'autore, anche a costo di paragoni scomodi.
È anche vero che una sceneggiatura così fatta rischiava di risultare alla lunga ripetitiva, ma, per fortuna, sulle 98 pagine il rischio si è parzialmente dissolto da sé, aiutato anche, c'è da dirlo, da un ottimo comparto grafico.
Comprimari misurati e dosati con giustezza, senza strafare.
A proposito di questo, e della già famosa scena di Bloch e Jenkins, personalmente l'ho trovata doppiamente indicativa, dal momento che all'ispettore vengono messe in bocca delle parole volutamente [immagino] profetiche sulla natura del messaggio dell'albo:
che tu sparisca dal mio ricordo.Fra l'altro, nota a margine, a me pare che Jenkins reagisca con una lacrima, calante dall'occhio destro.. O è solo un vezzo grafico?
In ogni caso, un segmento davvero molto forte.
Tornando sui disegni, poco da dire, un lavoro che rasenta l'eccellenza.
Se proprio mi toccasse con dolore muovere una critica ai Cestaros, la individuerei in ciò che per molti di voi è un valore aggiunto [anche per Recchioni, mai così invadente in fase di prefazione
]: spesso e volentieri, tendono a ricordare qualcun altro, soprattutto [e qui concordo] Venturi.
Non oserei mai, dal basso della mia ignoranza grafica, dare un consiglio a simili talenti, ma mi è proprio venuto in mente che potrebbero lavorare su una maggiore personalizzazione del tratto.
Ah, e il volto di Dylan a tratti è a dir poco orrendo [seconda vignetta di pagina 6, incredibile], ma ormai posso anche cessare di sottolinearlo, visto che ultimamente non lo azzecca praticamente nessuno!
Sottigliezze, comunque.. In generale, tanto di cappello.
VOTO: 8