Le mie 100 storie preferite di Dylan Dog : posizione
n°52La porta dell'Inferno, mensile n°101, febbraio 1995
Testi di Gianfranco Manfredi
Disegni di Giovanni Freghieri
Charles Gibbs non riesce più a vivere. Tre anni fa, la moglie e la figlia sono morte tra le mani di un feroce assassino e la sua mente non ha retto. Ora il folle ha ripreso a uccidere, seguendo l'ossessione di un rituale satanico, ma le porte infernali che cerca di aprire si spalancano su un dubbio: fu veramente lui a massacrare la famiglia Gibbs?Per me il piccolo capolavoro di Manfredi e uno degli apici di Freghieri. Le sensibilità dei due autori convergono in una ben definita chiocciola thriller che ha nella vorticosa indagine e nei cambi paralleli di prospettiva i suoi punti di forza. Un primo assaggio di tale tecnica è dato dal prologo, i personaggi sono tutti riconoscibili (anche le comparse) e le situazioni creano un'ansia da risoluzione visiva più che spiegazionista. Groucho rompe i freni al maggiolone e i teppisti pestano Gibbs, Groucho accompagna il teppista in centrale e Dylan corre con Gibbs al pronto soccorso, Dylan perlustra la casa abbandonata di Gibbs e Gibbs si risveglia dal coma in ospedale, così via. Il personale taglio delle tavole di Freghieri non fa che aggiungere valore. I teppisti come il maestro Ryan, avulsi ma memorabili. Dylan e Groucho in grandissimo spolvero: coinvolti nell'intreccio e connaturati da un Manfredi talvolta in difficoltà sia con l'atteggiamento del titolare che con l'uso della spalla. Qui è perfetto. La trama poi è tutt'altro che scontata al di là del convenzionale "è lui o non è lui"; il paesaggio mediatico prelude l'acidità meddiana ed è una caratteristica di molte storie di Manfredi, emblematica la scena in cui Ryan assiste alla ricostruzione televisiva dell'omicidio Gibbs o quella in cui compie una delle sue imprese in casa di scolari viziati. Si tratta di una patina poichè la materialità o immaterialità della vicenda è data da una morbosità normalizzata ma inesorabilmente destinata all'autodistruzione. Charles ed Ellen sono legati da un celato incesto ed è una delle meraviglie del vero Dylan Dog: il non detto interpretabile. Sono pedine vivide: Ellen ostenta sicurezza, paranoie ed intermezzi onirici, Gibbs è l'ago di una bilancia che gradualmente riconosce una reminiscenza e nel finale che non risparmia i pesi, nella beffarda eco di
This is the end.