Voglio riconoscere un giusto merito a De Nardo.
Mentre altri sceneggiatori (vuoi per convinzione, vuoi per mancanza di stimoli) non vanno oltre un Dylan imbolsito e imbambolato, capace solo di fare qualche domanda a persone incontrate per caso e per il resto buono solo a fare da spettatore, nell'attesa che la vicenda si risolva da sola, De Nardo cerca di costruire un Dylan decisamente
più attivo.
Il problema è che di solito i suoi modelli sono un po' Indiana Jones e un po' il Robert Langdon di Dan Brown. Tutta roba che con l'essenza dylandoghiana c'entra poco o nulla (vd. topic "Being Dylan Dog").
Qui, per fortuna, ha lasciato da parte sia Indiana Jones che Langdon, anche se siamo pur sempre in presenza di avventura
pulp vecchio stile.
Il maggior tallone d'Achille è la prevedibilità: gli snodi narrativi si intuiscono in fretta, il cattivo si indovina a colpo d'occhio, il finale è molto scontato...
Detto ciò, stavolta De Nardo infila buone dosi di vivacità, qualche tocco d'ironia e personaggi secondari abbastanza convincenti, capaci di rimanere impressi. Tutto il contrario della
Piramide capovolta: lì tutte queste doti mancavano e quel che rimaneva era una trama prevedibile oltre ogni dire, un concentrato di luoghi comuni capace solo di generare noia.
Certo, la prevedibilità c'è anche qui, ma l'insieme è davvero più ricco e vivace. Degno della sufficienza e anche qualcosa di più.
Io gli un 6.5
Casertano, purtroppo, è svogliato e impedisce alla storia di elevarsi ulteriormente.
Comunque non male.