Ad una prima lettura, mi sento di condividere quanto vado di seguito a riassumere in merito alle vostre opinioni: lettura scorrevole e fluida, leggera e spensierata, sceneggiata in maniera abbastanza coinvolgente [anche se i buchi ci sono, e anche piuttosto clamorosi, come da voi evidenziato: il rapimento individuale invece della chiamata collettiva, il misterioso accenno del DJ, la sua incomprensibilmente rumorosa entrata in scena], sul livello della media periodica.
Di conseguenza, il mio voto non può che essere pari o inferiore ad un 5.
Personalmente, e francamente, non so che farmene di una lettura scorrevole e fluida, leggera e spensierata, sceneggiata in maniera abbastanza coinvolgente e sul livello della media periodica. Capisco e rispetto chi considera DYD [almeno, il DYD attuale] un passatempo da ombrellone, ma per me non lo è e non lo è mai stato, e il mio giudizio non può che venir fuori di conseguenza. Ampiamente sufficiente altrove, decisamente mediocre su Dylan Dog.
Ciò che è invece imperdonabile altrove e qui allo stesso modo, è il principale torto di questa storia: il rispetto totale delle premesse/promesse, forse il principale "nemico" di qualsiasi prodotto narrativo. Premessa: un gruppo di giovani ragazzi è in cerca di un Maestro della Notte per farsi vampirizzare. Svolgimento: i ragazzi trovano il Maestro della Notte e si fanno vampirizzare. L'unica variante è l'adepto intermedio, personaggio interessante che dà vita ad alcune scene di sicuro impatto, ma troppo poco rilevante [anche perché la sua funzione, puramente interlocutoria, è proprio quella di sviare i sospetti, e poco altro]. Si può andare sul metaforico, sul sociale [in maniera più interessante, spinta e decisa di quanto accade qua], si può evitare di far apparire un vampiro [scelta consigliata], si possono fare un sacco di cose con quella premessa, ma NON sicuramente mantenerla e portarla a compimento. È arte, e l'arte deve spiazzare, inquietare, sparigliare le carte, e qui mi sento di condividere il recente discorso recchioniano [che, premetto, non condivido in toto]. È come se ne I ritornanti [albo che ho moderatamente apprezzato], sti ritornanti fossero stati autentici zombi, o spettri irrequieti, o banalità simili, in accordo con ciò che le premesse lasciavano ingannevolmente supporre. Al contrario, lo stesso problema affligge in maniera irreparabile un albo come Io, il mostro: premessa --> c'è sta ragazza che fa impazzire la gente; svolgimento --> c'è sta ragazza che fa impazzire la gente. Tanto per capirci.
Ah, e aggiungo: mi sembra un prodotto tranquillamente affiancabile a Twilight, stento a capire tutte queste resistenze [ennesima premessa rispettata, fra l'altro]. Non so cosa sia per voi Twilight, ma per me è un'opera che mette al servizio di un soggetto esile e rinsecchito alcuni elementi di facile presa popolare, come le vicende adolescenziali e i vampiri. Qui è uguale. Ovviamente non possono essere identici come gocce d'acqua, pena il plagio, ma non mi sembra questo il punto. In che cosa si distanziano le due opere? Nel fatto che mettono in scena due trame diverse? Eh, grazie. Nel differente tasso di violenza? Non mi sembra una discriminante così influente. Tutto il resto c'è. Oltretutto non è affatto un torto in sé, anche Il lungo addio può strizzare l'occhio ad un determinato mercato, ma rimane una vetta qualitativa. I problemi sono altri.
In sintesi: sufficienza impossibile, alla luce di ciò. E direi anche alla luce di un Piccatto piuttosto difficile da commentare, soprattutto in maniera positiva.
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