L'uomo con la macchina da presa (1929, Dziga Vertov)
" Io sono un occhio. Un occhio meccanico e sono in costante movimento!" L'opera nacque dal volere di Vertov di dare una totale autonomia e universalità all'arte cinematografica. Autonomia perchè i film sceneggiati e che seguivano una narrazione erano per il regista mero fumo negli occhi che la propaganda propinava alle masse; universalità perchè lo scopo fu quello di diffondere quest'opera senza il bisogno di utilizzare didascalie. Il cinema Vertoviano infatti, è arte che non vuole spartire nulla con quella del teatro e della letteratura, concetto che perderebbe inevitabilmente se usasse sottotitoli o copioni scritti. Il cinema vive di sole immagini e riesce a diffondersi solo e soltanto grazie alla forza espressiva di quest'ultime.
E' una delle teorie che seguirà il filone che fà fede al "cineocchio" sperimentato e nato in Urss proprio grazie a Vertov nei primi anni 20 e che qui trova la sua massima espressione.
Il film non segue una vera e propria storia: inizia con un operatore che proietta di nascosto in un cinema pieno di ignari spettatori, uno spettacolo di vita quotidiana nell'arco temporale di 24 ore, dall'alba al tramonto: riprese di strade, traffico, lavoro, tempo libero, eventi come matrimoni, divorzi, nascite, morti in 3 città diverse: Mosca, Kiev e Odessa. Una proiezione dove persino il regista, o meglio, il "supervisore dell'esperimento" come ha tenuto a precisare Vertov nei titoli di testa, viene a sua volta ripreso mentra sta filmando le varie scene (c'è comunque da dire che l'operatore che vediamo nel film non è Vertov ma Mikhail Kaufman, assistente e improvvisato attore del film), che si trovi esso in mezzo a una strada per riprendere da vicino autobus e tram, in cima a una gru sospesa sopra a un fiume a riprendere la gente che brulicante popola le strade come piccole formiche in un nido, in cima a una collina, a bordo di automobili e treni in movimento, all'interno delle fabbriche per seguire da vicino le produzioni a catena e la loro progressiva disumanizzazione (tema che affronterà anche Chaplin anni dopo in tempi moderni) qualunque cosa pur di carpire il possibile e anche l'impossibile, laddove neanche l'occhio umano potrebbe arrivare in condizioni normali, in quello che è forse il più alto esempio di metacinema mai visto su schermo.
Passiamo al capitolo nettamente più importante del film: IL MONTAGGIO. Vedere un'opera del genere e pensare che si ha di fronte materiale di 83 anni fà è assolutamente scioccante. 1775 shots, uno ogni 2,3 secondi. Una specie di antologia di tutte le tecniche cinematografico allora conosciute: Slow-motion, fast forward, reverse, sovraimpressione, freeze frame, dissolvenza incrociata, split screen sia verticale che orizzontale, stop motion (da citare assolutamente la scena della camera che si monta da sola sul treppiedi e si muove autonomamente, una delle sequenze più strabilianti che abbia mai visto), movimenti di camera ipercinetici e mirabolanti a volte a ritmi sostenutissimi sino ad arrivare a singoli frame alternati in una vera e propria esplosione dinamica. Tutto questo, si noti bene, con la camera sempre fissa sulla propria attrezzatura, o sul pavimento, avrò contato si e no 2-3 movimenti come una panoramica e una carrellata. Ma non è solo il montaggio in quanto tecnicamente all'avanguardia a fare il film straordinario, ma anche come viene usato: c'è pochissimo montaggio classico come lo intendiamo noi...è piuttosto "analogico", và appunto per analogie, perciò ci capiterà di vedere una donna che si stà lavando i capelli e subito dopo gente che pulisce le strade con idranti, oppure viene inquadrato un cartello con una figura con l'indice sulla bocca a mò di silenzio e subito dopo ci viene mostrata una donna che dorme. Altra tecnica per esempio è quella del montaggio metaforico: il cine-occhio che sembra quasi diventare reale e umano grazie a ingegnose sovraimpressioni (guardare foto che ho messo sotto al titolo) oppure con la stessa tecnica la figura ingigantita dell'operatore che sovrasta le folle nella sua opera di osservatore del tutto, ovunque.
Va da sè che una tale sequenza di immagini perdono buona parte della loro natura senza il comparto musicale, per questo è un'opera che và visionata direi quasi obbligatoriamente col sottofondo orchestrato (io ho visto la versione del 1995 per DVD e credo sia la migliore perchè crea una simbiosi totale con le immagini e il ritmo è assolutamente fedele al ritmo del montaggio, c'è un'altra versione più recente ma io la eviterei tranquillamente).
In ogni caso un'opera abbagliante, anticonvenzionale all'epoca, meravigliosa fonte storica di uno spaccato dell'Unione Sovietica di quegli anni, l'opera che nacque grazie all'idea del regista che volle farsi precursore del puro cinema, estraneo ad altre forme artistiche preesistenti, fruibile indistintamente da tutti.
Oggi divenuto il film capostipite del genere documentario, con ogni probabilità il suo più alto esponente.
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