Nessuno. Un uomo come tanti, una vita come tanti, ricca di noia e povera di tutto il resto, sconveniente anche dove dovrebbe essere più significativa: nell'amore, qui trattato con rude cinismo, realismo bieco e tagliente, nato fra i banchi di scuola e finito [o meglio, mai finito per non far crollare il mondo] con un tradimento avvolto dal silenzio. Una vita come tanti, e perfino una morte come tante: insulsa, banale, insignificante, fulminea. Una vita di segrete ambizioni [vedere il proprio nome ovunque] spezzate - se mai si fossero dovute realmente concretizzare - dalla morte e anche durante la morte [non avrà neanche il nome sulla lapide..]. Eppure è spesso misconosciuto e profondamente ignoto il carico di Vita che porta con sé la vita, anche la vita più silenziosa, ovattata e felpata, come la neve. Un carico di Vita che sfida apertamente il decesso, fisico e interiore, foriero di stasi, equilibrio, rigore, gelo. È il caso del nostro protagonista, che decide di ripartire da un altro Nessuno come lui per rivivere con tutte le sue forze, innanzitutto e prima di tutto sciogliendo l'unico nodo strettamente attorcigliato e ardente della sua ex-vita, dove tutto era invece statico e monocorde fino alla morte: quel segreto, quel tradimento, i cocci di un patto che può fermare il cuore - in tutti i sensi. E la vendetta, morta in una vita morta, rivive in una morte viva; e rivive nelle truci azioni di un morto vivente [mai ossimoro fu più appropriato] che in quell' universo [nel centinaio di pagine di un albo che si chiama Dylan Dog, punto importante su cui ritornare] non può che essere oggetto di interesse da parte dell' indagatore dell'incubo stesso. Indagatore dell'incubo che è occasionalmente e malvolentieri ospite di una fantasia altrui, di un universo alternativo in cui suona il clarinetto e beve, in cui le barzellette di Groucho fanno ridere e dove Xabaras si trova dalla sua parte, e anzi si sacrifica per spiegare e poi mostrare a Dylan che Nessuno va fermato, anche a costo di far collassare l'equilibrio incerto e onirico di quella particolare dimensione. Indagatore dell'incubo che viene ripetutamente scelto come portatore di fine, come gran mietitore di una non-vita che era finita-iniziata alla sua insegna - sulle pagine di un quotidiano.
Ma prima di leggere e interpretare tutto ciò, all'apertura dell'albo, è possibile leggere: Ideazione, soggetto e sceneggiatura: Tiziano Sclavi.
Tiziano Sclavi. E allora ci si rende conto che al di là e al di sotto delle maglie di una sceneggiatura mai così angosciante, mai così poliedrica, mai così contorta e contorcente, al di là della Storia di Nessuno, c'è la Storia di Qualcuno. Perché questa è una autobiografia intellettuale in piena regola, dove Nessuno e Qualcuno coincidono nella figura del cantastorie, del creatore di universi paralleli, del consapevole manipolatore delle proprie creazioni - oniriche e/o cartacee -, il quale sa e mostra che vuole e può giocare maliziosamente con le strutture stesse, con le fibre che sorreggono il suo parto [Andrò a scuola... Prenderò la laurea...]. Il tutto solo ed esclusivamente tramite la fantasia, il sogno, l'immaginazione, impalcature le cui produzioni sopravvivono alla decomposizione corporea e ritornano in vita periodicamente, come nella storia stessa ogni apparente finale precede una resurrezione, in un vortice di autocitazioni e rimandi che tramite la figura di Xabaras aprono uno squarcio passato e futuro sulla vita dell'indagatore.
Una Storia di Nessuno dunque, ma anche lo sguardo retrospettivo e compiaciuto di un Qualcuno che, tramite i suoi incubi futuri, ha trasformato in sogni le noie, i vuoti, i sospiri, le costrizioni, le vite morenti e le morti viventi di generazioni intere di lettori.
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