Secondo esordio consecutivo alle matite dopo quello di Brindisi nel numero precedente. Coppola irrompe di prepotenza nella serie con una prova fantastica, se pur scontando qualche debito nei confronti di altri disegnatori (pag. 12 e pag. 87 il suo Dylan ricorda quello di Stano, pag. 49 la vittima quasi ride quando viene uccisa come le donne di Tacconi). Indimenticabili i suoi omicidi a colpi di rasoio, una Londra a tratti quasi vittoriana, il volto di Wolkoff/Karloff. L'unica cosa che non gli perdono è Dylan con la maglietta della salute sotto la camicia
(pag. 31). Sarà poi per le acconciature e gli abiti, i volti dei comprimari, lo stile stesso di Coppola e anche per la trama ideata da Sclavi (che sembra uscita da un giallo all'italiana) ma sembra di trovarsi catapultati negli anni 70. Ci si mette anche l'omicidio con l'arpione di Baviana memoria.
Sclavi si ispira ai delitti di Jack Lo Squartatore, per costruire un dramma horror con implicazioni socio-politiche, senza scadere nella retorica e nel facile buonismo. Emblematica la reazione di Dylan al ritorno dalla visita al covo degli "emarginati": malgrado l'empatia nei loro confronti, non può fare a meno di sentirsi sporco e di provare orrore; reazione umana e comprensibile che lo rende più vero che mai, battute maschiliste a parte. Forse la soluzione finale relativa all'identità del primo killer è poco plausibile
, ma forse anche l'unica possibile per far tornare i pezzi del puzzle, a fatica, al loro posto. La scena del processo ripaga tutto però. Da notare qui l'atteggiamento di Dylan, ben distante da quello degli "Uccisori" o di "Nebbia": altri tempi, altri autori, passa dal giustizialista, al garantista, al Ponzio Pilato.
Sclavi forse mai così volgare nel descrivere il sordido ambiente delle prostitute d'alto bordo. Malgrado i vari difetti, il volto di Wolkoff è sempre lì che mi fissa e non posso dimenticarlo. Gli devo un ottimo.