Facilmente una delle migliori storie di Ruju [anche perché l'oceanica concorrenza è quella che è], ma grandemente sopravvalutata, probabilmente a causa del soggetto di facile presa popolare.. E non si fraintenda, ha preso anche me. Il buon Pasquale fallisce dove fallisce quasi sempre, e cioè nella costruzione psicologica della/e vicenda/e, rivelando così la consueta razionalità e materialità della sua penna.
Partiamo dalla componente artistica: copertina ottima, sia come taglio registico sia come tinteggiatura malinconica, tranne quell'orrendo salmone indosso alla tipa, autentico pugno in un occhio [più una sprangata, a dire il vero]. E concordo con chi auspicava un altro disegnatore per una storia come questa: se Fallen rientra pienamente nelle corde di Corrado, sbucando sinistro dalle tinte fosche del suo esperto pennino, le scene di vita/amore quotidiani sono tirate via come non mai. Esempio: pag. 56-59, due figure sottili che si muovono nel vuoto... prendo a caso, ma in realtà la quasi totalità dell'albo si regge su figurine che vagano nel nulla. Suggestivo, ma molto poco d'impatto.
Passiamo [o meglio, ritorniamo] alla sceneggiatura. A mio avviso l'incipit poliziesco ad alta tensione non è del tutto campato per aria, anzi, serve a caratterizzare per contrasto l'intero dipanarsi dell'intreccio nei suoi risvolti meno evidenti: da una parte il maniaco tracotante che infligge dolore e dispera per essere ricordato, dall'altra lo sfuggente terapeuta che allevia le sofferenze e campa sull'oblio altrui... Guai a ricordare l'acume della sua lama, chi si innamorerebbe più? Un tocco di classe che però toglie spazio ad un eventuale incipit della storia principale, ad un suo necessario background emotivo che, deficitando, ci impedisce di partecipare con Dylan alla catarsi finale. La storia con Diane non attecchisce fino in fondo, non tocca certi tasti, sia perché ci restituisce un Indagatore dell'Incubo immaturo come non mai [già fuggendo dalla madre premonitrice scopre molte delle sue carte inconsce] sia perché la controparte femminile è un foglio di carta velina [e non mi riferisco ai disegni] che entra da un ventricolo ed esce dall'altro... Un'ottica con un cagnolone puccioso e una madre arpia. Basta, fine. Anzi, perfino la madre ci fa una più bella figura, svolgendo il ruolo di pungente bocca della verità fin da subito, senza troppi fronzoli. Per non parlare delle altre ministorie sparpagliate qua e là di tanto in tanto: lo stereotipo assoluto. La struggente disperazione adolescenziale, la fuga dall'altare, il matrimonio fallito, il detective privato, il litigio manesco... Tutto viene e va, in una riproduzione in scala della relazione principale. Lo stesso vale per il vecchio marinaio, un deus ex machina che esce dall'ombra e ci rientra senza lasciare nulla, se non qualche dollaro in meno nel portafoglio di un Dylan cieco e testardo. Le trombe della riscossa maschile vengono suonate solo nel frangente tutto sommato più interessante dell'albo, la vicenda di Groucho: stavolta è il personaggio femminile a rivelarsi in tutta la sua crudele negatività, ridendosela nell'unico momento di serietà del Nostro.
Capitolo Fallen: sorvolando su una certa carenza di spessore che affligge anche lui [anche se Ruju ci illude per un attimo con quel Credimi, lo so meglio di chiunque altro a pag. 27], si rivela un personaggio ambivalente nella misura in cui assorbe i sentimenti non per crudeltà [talvolta si scusa pure], ma per sradicare le sofferenze che i sentimenti stessi si portano dietro una volta infranti. Quindi, piuttosto che accoglierlo con un L'abbiamo incontrato tutti, sarebbe più adeguato un Magari lo incontrassimo tutti... così presto. È vero che spesso accorre TROPPO presto, sopprimendo sul nascere le famose seconde opportunità, ma probabilmente, essendo notato di una certa preveggenza [vedi stalking compulsivo su Dylan], è in grado di vedere l'inutilità di un ulteriore prosieguo, impedendo al tormento di nutrirsi di/su se stesso. Un malinconico mestierante che nella vita di tutti i giorni dovrebbe essere semplicemente una parte di noi stessi... quella parte che, proprio come lui, è spesso e volentieri di poche parole, riservandole per l'esperienza di lunga data. A quel punto, però, sarà forse troppo tardi. La sua caratterizzazione grafica, invece, pur essendo reiterata anche attraverso i racconti e le ricerche, non lascia adeguatamente il segno. Anonimo, impalpabile, dalla lama invisibile, in punta di piedi sui cocci sparsi, rispettoso nella misura in cui noi spesso cessiamo di esserlo verso noi stessi. - Non costringermi ad umiliarmi ancora... - Io sono qui per darti la pace.
Arrivederci... Non sarà mai quella eterna, anche se a volte la speranza e il dolore, congiunti, pregherebbero perché lo sia.
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