Le mie 100 storie preferite di Dylan Dog : posizione
n°89 Necropolis , mensile n°212, maggio 2004
Testi di Paola Barbato
Disegni di Giovanni Freghieri
Benvenuti a Necropolis. Ma esisterà davvero? Per molti si tratta dell'ennesima leggenda metropolitana, altri dicono che sia un inferno in Terra, un luogo segreto per esperimenti misteriosi o un centro di tortura gestito dallo Stato. Nessuno può dirlo, perché nessuno ritorna da Necropolis. Anzi no, non è proprio così! Uno c'è che può raccontare come stanno davvero le cose a Necropolis: si chiama Dylan Dog. Ma ci sarà un altro disposto a credergli? Dylan è Gordon alias
Simone Choule, Dylan è attraverso la propria persona violentemente spinto a scalare gli specchi ricorrenti in Barbato, Dylan è la vittima sociale tout court. Talmente denudata la trama appare scontata; ed effettivamente l'autrice compone con essa una delle sue opere meno arcigne ma -paradosso vuole- più facili (in fondo il lettore desidera l'intrattenimento, dapprima). Il talento sta tutto negli istanti e nelle caratterizzazioni tra le quali compare il solito femminino barbatiano, Arcangelo, per quanto le motivazioni siano estremizzate (Arcangelo è consapevole del suo stato mostruoso e giggioneggia in una prigione dorata, come Angelique in
Sciarada n°191) e per quanto lo stesso Dylan rivesta un'essenza femminile emancipanda. Nonostante il finale "uno contro tutti, tutti contro tutti" ovvero "stavamo scherzando" possano denotare decisa virata sul grottesco, i livelli cui è sottoposto Dylan quindi il lettore rappresentano un modulare drammatico di reale e surreale, di sofferenze e ragionamenti sino per l'appunto al gesto eroico di rottura. Dietro il farlocco Necropolis si cela l'autrice o il lettore burattinaio che infatti a pag.98 necessariamente pianta in asso l'intontito protagonista pensando alla prossima storia o alla prossima commissione; senz'altro un metafumetto meno sguaiato che in
Oltre quella porta n°228. Altrettanto indubbio è l'impegno di Freghieri; ma non fa che tradire gli anni, a partire dagli ultimi del millennio scorso, in cui ha scelto di utilizzare il famoso pilota automatico in barba delle proprie potenzialità e della sopportabilità dell'aficionado.