Amici forumisti, approfitto dell'uscita di questo numero 300 per passare a salutarvi. Pigrizia e lavoro (non retribuito) mi impediscono di partecipare alle vostre discussioni, ma continuo a seguirvi, anche se in silenzio. Ebbene, Dylan giunge a quota 300 e festeggia i 25 anni di vita editoriale. 25 anni portati abbastanza male: gli sceneggiatori sono troppi, le collane fuori serie pure (perché raddoppiare il Maxi? Che senso hanno gli Almanacchi nell'era di internet?), la supervisione è impalpabile, la linea editoriale non è chiara. Questo quadro desolante dona al numero 300 - per me un buon albo, lo dico subito - un'atmosfera malinconica e decadente da fine impero e fa provare al lettore un piacevole senso di nostalgia per i tempi che furono. Ben più del numero 100, il 300 potrebbe essere l'ideale albo conclusivo della serie. Uno dei leit-motiv di Ritratto di famiglia è, appunto, la crisi d'ispirazione dell'artista. Una crisi dovuta alla sensazione che tutto è già stato scritto, che le idee originali non esistono, che per accontentare il pubblico bisogna ricorrere ai soliti espedienti. Crandall Reed (il fumettista dal volto di Stano), infatti, riscrive continuamente il prologo e l'epilogo della sua opera; sa che i lettori chiedono, proprio come i lettori "reali" di Dylan, più splatter e un protagonista meglio caratterizzato. Ovviamente la sfida di Reed simboleggia quella affrontata da Ruju nello sceneggiare il 300. L'albo, come tutti i numeri celebrativi, doveva riallacciarsi a uno di questi due filoni: il primo, più realistico e collocato in un'epoca ben definita, che riguarda l'esperienza a Scotland Yard e l'alcolismo di Dylan; il secondo, in bilico fra surreale e fantasy, relativo all'infanzia di Dylan e alle vicende di Xabaras e Morgana. Quest'ultimo filone, che è quello seguito da Ruju, rappresentava la sfida più complessa, data la difficoltà di inserire nuovi tasselli nell'arco di tempo che va dalla morte di Xabaras (In nome del padre) all'epilogo della serie (il numero 100). Ruju ha affrontato la sfida trasformandola nel soggetto stesso della storia. Il 300 infatti non rivela alcuna novità sul passato o sul futuro di Dylan, piuttosto mostra un Indagatore dell'incubo prigioniero di un destino già scritto (da Sclavi ne La storia di Dylan Dog), destino che diventa un ostacolo anche per chi Dylan lo scrive. Persino lo stile di Sclavi è visto come un limite per gli altri sceneggiatori dylaniati: Ruju riesce benissimo a ricreare l'atmosfera surreale di Morgana e Storia di Nessuno, ma nel contempo sembra domandarsi (per bocca di Reed) quale impatto sui lettori di oggi e quale scopo abbiano, in una sceneggiatura, i voli pindarici fra una sequenza e l'altra, il ricorso agli universi paralleli, i finali alternativi, il confuso intrecciarsi di visioni e momenti di vita reale. Questo 300 mi ha convinto e commosso, eppure non so dire il perché. Potrebbe essere merito delle splendide tavole di Stano e Rudoni, dell'odore della carta, o forse proprio di quel messaggio fatalista del quale parlava Dario qualche pagina fa. Ad ogni modo, Ritratto di famiglia è una storia "sospesa", senza una trama lineare né spiegazioni. Piuttosto si sviluppa per immagini, scorre via come un sogno, parla direttamente al cuore dei dylaniati. Insomma, se nel Ventennale la Barbato raccontava una storia di esseri umani (e lo faceva "normalizzando" Dylan e Xabaras), nel 300 Ruju celebra il Dylan-personaggio, restituendogli il suo meritato status di icona.
V.M. (vietato ai minori)
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