Tutto sommato sono abbastanza soddisfatto di questo Color Fest. Una storia ottima, una molto buona e due così così... vista la situazione attuale non è un risultato malvagio.
Passaggio per l’InfernoSi apre con la storia migliore del mazzo. Un Accatino in perfetta forma, affiancato da un valido Simeoni, ci offre un Dylan Dog credibile, vivo e reale come attulamente lo si vede sempre più raramente, inserito in una vicenda inquietante e disturbante. Ottima storia.
Il Banco dei PegniUna soggetto interessante e con un buon finale, sceneggiata però in maniera tristemente piatta, con dialoghi involuti e didascalici. E' palese la mancanza di coinvolgimento emotivo da parte dell'autore in ciò che sta raccontando e il risultato è un Dylan Dog moscio e che davanti alle ingiustizie del mondo risponde con moderato pietismo invece di sana indignazione, come dovrebbe essere naturale per il personaggio, così come i barboni, così preoccupati della loro dignità, non rivelano traccia di disperazione o di rabbia per le loro condizioni. Lidea di base della storia e qualche battuta carina di Groucho salvano l'episodio dalla mediocrità totale, ma se il buon giorno si vede dal mattino, Badino non mi sembra un gran acquisto per la serie.
Luci della RibaltaUn Medda in buona forma ci scodella un episodio interessante condito con ottimi dialoghi e un Dylan vivido e ben caratterizzato, come suo solito, anche se in fondo lo sceneggiatore rimesta come suo solito nel tema della "mostruosità" del mondo dello spettacolo, in cui conta più l'apparire che l'essere. La storia purtroppo non è nemmeno tra le più adatte per valorizzare le capacità grafiche di Di Gennaro, che comunque fa un lavoro più che buono, e non poteva essere altrimenti.
Strage di MezzanotteGualdoni cerca di imitare Chiaverotti, e per certi versi non gli riesce neanche male. Peccato che a me, spesso, Chiaverotti non piaccia
In fondo non sarebbe nemmeno una storia malvagia... c'è un uso dello splatter che ricorda quello dei bei tempi andati, una certa ironia, qualche spruzzata di malinconia che raggiunge il culmine nella rivelazione (semi)finale e una gestione degli stacchi anch'essa appartenente al passato migliore della serie, che mi hanno reso abbastanza piacevole la lettura. Peccato per il finale tipicamente chiaverottiano che, come di consueto, è riuscito a trasformare l'impatto moderatamente positivo nell'impressione di aver letto una ciofeca pazzesca.
Ma se proprio voleva imitare lo stile di un altro autore, Gualdoni non avrebbe fatto meglio a scegliere Sclavi invece che Chiaverotti?