Articolo di Antonio Vianovi del 1994, recensore e giornalista del settore, sceneggiatore.
Ovviamente è un pezzo che tocca temi a noi cari, soprattutto in questo momento, e che svela alcuni retroscena interessanti sul battage censorio creatosi all'epoca.
"<Attenzione! La storia di questo albo non è divisa in due puntate! Il finale è aperto all'interpretazione del lettore, ma sempre finale è, non ci sarà alcun seguito> recita un serio avvertimento a tavola uno. E non è tutto. L'intero episodio è un pamphlet politico contro la censura: non sono il fumetto, il cinema e la letteratura horror a traviare i giovani, dice Sclavi, ma il consumismo, i telegiornali e "Il giustiziere della notte". Forse la verità è più semplice, più banale: si fa influenzare da qualsiasi cosa solo chi desidera farsi influenzare. Nessuna censura deve essere ammessa. L'episodio di Dylan nasce da un fatto di cronaca avvenuto qualche anno fa, quando si scatenò in tutta Italia una furibonda campagna contro i media orrorifici. Il "j'accuse" partì dal settimanale progressista L'Espresso che, sul numero 34 del 26 agosto 1990, pubblicò un articolo pieno zeppo di incongruenze e di imprecisioni, di totale indifferenza e disprezzo per il comic. L'intervento era firmato da tal Roberto Cotroneo e si intitolava "Che horror!" (che fantasia); qui si analizzava con un taglio pesantemente critico - quasi da Inquisizione - il boom delle testate del terrore che fu registrato quell'anno nell'ambito del panorama fumettistico popolare italiano. La polemica si espanse a macchia d'olio e ci furono persino delle interrogazioni parlamentari, da parte di tanti onorevoli che evidentemente non avevano nient'altro da fare. Poi tutto, com'era intuibile e auspicabie, si sgonfiò, scoppiò come una bolla di sapone, la moda dell'orrore rientrò e molti si dimenticarono. Sclavi no, rimase impressionato da questo grande agitarsi di moralisti (di tutte le colorazioni politiche), di questo grande stracciarsi di vesti di protettori di inermi fanciulli. Quasi si impaurì, Sclavi, e mise subito in cantiere la storia di "Caccia alle streghe", rifacendosi nel titolo al periodo del Maccartismo. L'avventura parte con un personaggio dei fumetti, Daryl Zed, impegnato (e non è un caso) contro dei terribili inquisitori medievali resuscitati: è questo l'espediente con cui gli autori fanno rivivere a Daryl le peripezie giudiziarie realmente accadute durante la bufera anti-horror di cui abbiamo parlato. Alla fine, sia nella fantasia, sia nella vita reale, i fumetti vengono assolti. Ma la censura, come la dittatura, la guerra, la fame, le pestilenze e tutto quanto di peggio può accadere al genere umano, sono dietro l'angolo, in posizione d'assalto. Non delude Pietro Dall'Agnol, che con questo albo raggiunge i vertici della sua potenza grafica, vertici dai quali non è mai sceso. Un Dylan indimenticabile, trascinante, evocativo, che dovrebbe che dovrebbe far riflettere chiunque. Anche i censori."
Una considerazione e una provocazione. Sono passati 17 anni: quale tristezza venire a conoscenza del fatto che proprio una testata come "L'Espresso" si prese la briga di accollarsi questa campagna indecorosa. E quale imbarazzo aleggerebbe oggi in casa Bonelli in seguito alla lettura di questo articolo.
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Umpf! Qualcuno mi ha trovato, finalmente... devono aver sentito la puzza... però, bei tempi quando puzzavo solo di whisky...
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