Fatto !
[*]TITOLO: L’occhio nell’armadio. GENERE: Horror. ( o almeno ci provo..) SVOLGIMENTO:
Dylan Dog entrò nella stanza del ragazzino con la pistola infilata nella cintura dei pantaloni, sentendosi un poco ridicolo. La stanza era dipinta di un verde acqua rilassante, piccola, dal buon profumo di pino. C’erano un paio di poster appesi di fronte alla minuta libreria: Buffy e Fringe. Il letto era sistemato in una delle due pareti più lunghe, dal lato opposto alla finestra a sbarre, da dove filtrava a fatica la luce del lampione, dall’altro lato della strada. Sul lato opposto, l’armadio. Chiuso. Le ante erano di legno massiccio, era un pezzo di antiquariato del secolo vittoriano, così dava l’idea. Aveva eleganti lavorazioni barocche sui lati e ai piedi. Dylan s’infilò le chiavi di casa che la padrona, la madre di Timmy, le aveva consegnato non appena era scesa la sera. Era una donna sui trentacinque, capelli lunghi e scuri, che disegnavano il suo viso come una maschera minuta, irta di emozioni forti e tribali. Si chiamava Lana. Il suo sguardo penetrante, dai grandi occhi verdi, tante volte aveva incrociato quello dell’indagatore dell’incubo quella sera, in una cena surreale e inquietante. Dylan stava a capotavola, nel posto un tempo occupato dal marito morto di recente, la donna dal lato opposto, il piccolo Timmy sul latro sinistro, intento a guardare tutti e due con espressione risentita e attenta. Dylan aveva cenato frugalmente: un passato di verdura, due biccheri di acqua, un po’ di pane, e aveva assaggiato volentieri la torta di mele fatta dalla nonna di Timmy, la signora Houseid. Pensò, divertito, che tutti avevano, in fondo, una nonna dai capelli grigi raccolti a chignon che si chiamava Houseid e che faceva torte della nonna come quella ! Alla fine del pasto, Lana e Timmy si erano vestiti per andare a dormire nella solita camera di albergo, che li ospitava da ormai due notti e lei aveva consegnato il mazzo di chiavi a Dylan Dog, esclamando: _ Mi raccomando, signor Dog ! Stia attento ! E…e ci aiuti, la prego ! _ Lui si era sentito stranamente più piccolo di quanto non fosse mai stato ed aveva risposto:_ Farò del mio meglio, Lana…e per favore, dammi del tu ! _ Quando i due uscirono, Dylan chiuse la porta d’entrata a doppia mandata e la casa parve mutare di aspetto e di atmosfera, come vittima di un sortilegio malvagio. Si sedette sul letto e spense il piccolo abajour sistemato sul comodino, facendo sprofondare tutta la stanza nel buio. Prima di coricarsi aveva chiuso le persiane, impedendo alla tenue luce giallognola dell’esterno di entrare del tutto. Rimase seduto per qualche tempo, abituando così gli occhi all’oscurità, captano i piccoli e inascoltati rumori diurni che, per qualche insindacabile ragione, di notte diventano profondi e irti di mistero. Alla fine, erano da poco passate le ventiquattro, si distese sul letto, con le mani incrociate dietro alla testa. Pensò, ora sorridendo, ora con lieve malinconia, che se si fosse trovato in una situazione maggiormente rosea, nel suo lavoro, avrebbe di certo declinato quel incarico tanto semplice, quanto impossibile a credersi. La pistola gli premeva su un fianco, così che fu costretto a girarsi a un lato, raccogliendo le gambe verso di se. Il letto era piccolo, da sponda a spalliera poco più di un metro e cinquanta, sicché era costretto a rimanere rannicchiato come una rana, e quel giaciglio divenne molto presto più scomodo che rilassante. Dapprima l’aveva veduto solo Timmy. La madre l’aveva sentito una notte, cinque settimane prima, urlare a squarciagola nella notte, dopo le tre circa, e si era precipitata semi nuda da lui. Dylan pensò, sorridendo, allo spettacolo del corpo di Lana nudo che correva alla cameretta del figlio, ma lo scacciò subito. Udì un debole scricchiolio, provenire da davanti a se. Niente. Non era che il vento fra gli infissi. Timmy, aveva raccontato la donna, era ritto sul letto, lo sguardo sgranato, la bocca spalancata in una espressione di terrore muto, il corpo che tremava. Senza dire nulla, aveva alzato il braccio destro indicando l’armadio. Nelle notti successive questo incubo si era ripetuto, ed allora Lana aveva deciso di dormire con il figlio, affinché si calmasse. Sapeva che era una cosa sbagliata. Ma in lei si era anche fatta strada l’idea che fosse la sola cosa possibile per calmare il proprio figliolo. Così, due notti prima che lei si presentasse a Crafen Road 7 con l’aria stravolta, il corpo tremante, ed il figlio serrato alla cintola, l’aveva veduto anch’essa ! Ancora uno scricchiolio, questa volta più forte. Dylan guardò l’ora, dalla sveglia grossa e tonda sistemata appena vicino all’abajour. Le due e cinquanta. L’anta dell’armadio si era aperta e dal ristretto spazio che si era creato, era emerso uno sguardo. Un occhio fisso, spalancato, che fissava la stanza ed il letto di fronte a se. Era stata una visione nitida, che aveva raggelato il sangue della madre e inebetito il figlio. Poi c’era stata quella voce…Una voce che non aveva niente di umano. Una voce tetra, raggelante, lontana nel tempo e nello spazio. _ Ciao…Ciao Timmy ! Ciao Lana….vi stavo aspettando !! _ Così l’aveva definita la donna e Dylan, pur non scartando del tutto l’ipotesi che quella donna fosse solo spaventata e suggestionabile, aveva avuto la netta impressione che non stesse mentendo. Lo scricchiolio, adesso, divenne secco. Dylan s’irrigidì. No. Non era il vento quello, né i rumori della notte. Era l’armadio ! Era l’anta dell’armadio ! Seguì uno scricchiolio prolungato, nel quale l’anta si aprì, lentamente, come sospinta da una mano tremante, gelida. Dylan mise mano sul calcio della pistola. Gli occhi erano abituati al buio. Eppure dentro l’armadio percepiva un buio assoluto, un vuoto che pareva venire dal ventre del diavolo stesso. _ Chi sei ? Che fai qui, a casa mia ? _ L’occhio era apparso al centro dell’anta e immediatamente anche la voce ! _ Giuda ballerino !_ Dylan balzò in piedi, la pistola serrata in entrambe le mani, puntandola deciso verso il mobile. _ Chi sei tu ? Che cosa vuoi da questa casa ?_ . Non seppe perché gli fosse uscita quella domanda. Aveva vinto l’istinto di far fuoco subito, senza esitare. C’era qualcosa in quello sguardo.. Uno sguardo curioso, morboso, ma anche…anche sofferente e disperato. L’anta si spalancò di netto e Dylan avvertì un brivido tagliargli la schiena. Ora c’era anche una mano, che teneva aperto il pertugio. Una mano scheletrica, verdastra, tremante. _ Io…? Io vivo qui ! Sei tu….tu che non devi essere qui ! Sei tu che…non dovresti essere qui ! _ La voce era cavernosa, ma adesso amara, sofferente. Dylan fece un paio di passi, avvicinandosi. Era sbagliato quel che voleva, desiderava fare. Ma quanto lo sentiva ! Quanta curiosità gli stringeva lo stomaco ! _ Tu sai che….che la tua presenza…il tuo essere qui….spaventa delle persone ? Che spaventa un bambino ? _. Era a poco meno di un passo. _ Tmmy ? Non deve avere paura di me ! Io…io voglio solo il suo bene ! Io…voglio bene a Timmy ! _ Ora Dylan serrava l’arma con una sola mano. Con la sinistra tesa in avanti, infatti, arrivò a sfiorare il bordo di legno dell’anta. Aprire…aprilo….avanti…Vuoi vedere cosa c’è dentro…da dove viene quella voce…lo vuoi…non puoi farne a meno…Era come una cantilena nel suo cervello. La stanza era piombata in una sorta di gelido respiro. Dylan, che indossava anche la giacca nera, non poteva fare a meno di tremare. Una entità spiritica ! Un fantasma ! Solo così si spiegava quel gelo feroce ! _ Lo spaventi…forse a tua insaputa ! Ha terrore di te ! _ _ NO ! _ La voce fu una esplosione, adesso, improvvisa. Dylan fu spinto all’indietro, contro la spalliera del letto, come una piuma in un alito di vento. S’aggrappò all’anta aperta, di fatto spalancandola. L’entità lo squassava come una quercia durante una tempesta. Dylan si sforzò di guardare…E la vide ! Lo vide ! C’era l’occhio, vitreo, scuro, spalancato, retto da un corpo deforme, putrescente. C’era un braccio teso, nodoso e magro, dalle ossa a tratti sporgenti, e c’era il cuore…Un cuore vivo, pulsante, al centro del petto, grondante sangue ! C’erano altri arti, due gambe ed un braccio, in fondo, nell’infinito fondo che era l’interno senza tempo di quell’armadio antico, di legno rossiccio, che emanava odore di bosco vecchio, magico.. Dylan sparò. Nulla. Il colpo parve perdersi nell’infinito dello spazio senza tempo. _ E’ così ! Cosa vuoi da Timmy ? Cosa vuoi da Lana ? _, urlò Dylan Dog ! L’occhio si spalancò, divenne enorme. Uscì quasi del tutto dalla tana, e fissò Dylan. _ Guardami, Dylan Dog ! _ disse la voce. Lui alzò lo sguardo, facendo cadere la pistola a tamburo. Un urlo squarciò il silenzio della notte. Poi più nulla.
Dylan si abbandonò sulla sedia di legno, di fronte alla scrivania vittoriana del proprio studio a Craven Road. Anche adesso che aveva riposto il pennino d’oca nell’inchiostro, anche adesso che i lividi gli segnavano il corpo e la paura per ciò cui aveva assistito ancora gli tagliava la pelle, anche ora non credeva che ciò che aveva veduto dentro a quel armadio fosse vero. La mattina i due erano tornati e Dylan aveva posato nelle mani della donna le chiavi, senza commenti. Lei si era fatta piccola e minuta e aveva sussurrato: _ Cosa…? E’ tutto a posto, ora ? E’ tutto finito ? Io e mio figlio…siamo liberi ? _ Dylan non aveva risposto. Aveva scompigliato amorevolmente i capelli lisci del bambino e aveva fatto un paio di scalini, fin a fermarsi sul ciglio della strada. Allora, senza farsi quasi notare, aveva gettato una manciata di sale grosso sull’uscio, proprio mentre Lana Houseid si accingeva a salutarlo con la mano tremante, ripetendo: _Grazie ! In nome di Dio, grazie di tutto, Dylan ! _ Lui aveva sorriso, sentendosi stanchissimo. La porta si era chiusa, lentamente come si era aperta l’anta di quel armadio. Scrisse anche questo, nel momento esatto in cui il telefono squillò. _ Old boy ? Sei tu ? _. La voce calma e triste di Bloch lo raggiunse. Dylan Dog fece un sospiro, lento e profondo: _ Si, vecchio ! Allora…? _ _ E’ come sospettavi, old boy ! Arthur Houseid, Lana McGrover in Houseid e loro figlio Timmy di sette anni, sono morti in un incidente d’auto, cinque settimane fa ! Sono morti carbonizzati in seguito ad un salto di corsia di un grosso Tir, che l’inchiesta ha stabilito esser guidato da un autista ubriaco…_ Silenzio. _ Ragazzo…stai bene ? Sai che…che ciò che dici di aver vissuto, ha una sua spiegazione logica, vero ? _ Dylan annuì, come se l’ispettore di Scotland Yard potesse vederlo. _ Lo so…lo so Bloch…! Grazie di tutto…_, sibilò, riappendendo. Si chinò sul diario, dopo aver bagnato la penna con dell’inchiostro fresco. “ Così la morte è tornata per riprendere ciò che è suo. O forse la voglia di vita, l’amore di una madre per un bambino innocente, è stata tale da far loro dimenticare di essere morti ! E Arthur Houseid, nel suo disperato tentativo di richiamare a se coloro che erano dipartiti con lui, altro non manifestava che il proprio amore di padre. Un amore puro e assoluto, che gli permetteva di mostrarsi com’era realmente, agli occhi di coloro che pur amandolo, non erano più in grado di accettarlo. Io, con un semplice rito esoterico, non ho fatto altro che riunirli a se. Com’era giusto che fosse. “ Si abbandonò di nuovo sulla sedia, prendendo il clarinetto e suonando un poco. Nella musica, gli parve di sentire le parole della donna: _Grazie Dylan…In nome di Dio grazie di tutto ! _.
FINE. Autrice: dogares ( Luisa ). Commenti…per favore non sparate sulla pianista. ![*]
_________________ " Il locale è triste e sta sempre qua ! "
" Dylan Dog è arrivato allo scontrino fiscale "
Oriana Fallaci ti amo.
Ultima modifica di dogamy il mer mar 23, 2011 11:39 am, modificato 1 volta in totale.
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