Sono convinto, da quel poco che ho letto di Castelli e dall'averlo visto in televisione che ciò che dice Galvez sia rispondente al vero. Uno come MM sarebbe senz'altro molto più vicino alla realtà di Dylan Dog, sempre se prendiamo il realismo come tendenza conoscitiva di base per l'approccio essenziale alla realtà. Di certo, sarebbe facile anche incontrare un Castelli per strada, ma non credo si possa dire di Sclavi. La "clausura" di quest'ultimo si riflette molto su un approccio anti-realistico, ma non meno reale di quello razionale. Sclavi è uno scrittore intimista, mentre Castelli è aperto al mondo e alle curiosità che lo circondano. Sclavi sonda le sensazioni strane, le ambiguità della vita, a lui non serve aprirsi al mondo per ordire una storia con forte pathos narrativo perché è lui stesso la propria storia. Ecco perché secondo me Sclavi è lo scrittore autoreferenziale per eccelenza, nel senso che i suoi albi sono la risposta a tutto ciò che a noi sembra incomprensibile del suo modo di scrivere. La sua enigmaticità dal mio punto di vista è un libro aperto, anche in Storia di Nessuno è facilmente rintracciabile il suo proposito e il suo scopo narrativo.
Castelli, invece, è più chiaro, nel senso che non devi andare a conoscerlo tu, approfondendo la sua parte oscura nel modo come invece necessiterebbe uno Sclavi, ma si fa conoscere lui e ri-conoscere all'esterno, negli atteggiamenti di molti appassionati di leggende, di curiosità e di stranezze antropologiche. La sua scelta letteraria è senz'altro molto diversa da quella di Sclavi, perché in Sclavi la curiosità non si trova all'esterno del soggetto, ma all'interno e nel suo caso, al "suo" interno. Diventa, di conseguenza, un autore che fa breccia nel cuore del lettore più per l'incomprensibilità che di primo acchito ci appare, che per la sua chiara identificazione e collocazione esistenziale. Sclavi non è collocato, è solo. In questo senso, per sondarlo è necessario un approccio molto più profondo di MM. Ciò non toglie, (rivolegendomi a Galvez), che Castelli possa aver messo molto più sé stesso e tutto il suo atteggiamento. E questo perché l'approccio con Sclavi risulta talvolta oscuro, a volte travisante. Certe altre confondendo il lettore e sé stesso quasi in una spirale di eventi che non trovano una propria collocazione nella mente realistica del lettore, anzi che la sovvertono per suggerigli "il mondo è meno reale di quel che sembra", ma nello stesso tempo reintroducendolo al mondo con il picco di Johnny Freak e Il lungo addio, come punti di arrivo.
Cioè, Sclavi ha preparato pian piano il lettore a cercare una strada diversa, partendo dal lato oscuro, dall'anti-esistenza, per raggiungere in modo stupefacente la chiarezza narrativa, che in altre testate è sempre stata la chiave di volta dell'intero edificio.
Sclavi non si è mai lasciato comprendere subito, si è sbrindellato, è stato camaleontico, ed enigmatico. Questi elementi rendono i due autori diversi, ma a Sclavi rispetto a Castelli, a mio avviso, manca probabilmente la chiara impressione di essere completamente nella sua opera, perché è nell'oscurità che ha scelto di cercare la luce.
Appunto, ritornando a MM, sono sicuro che potrebbe incontrarsi nel mondo un tipo così, ma dubito che possa incontrarsi Dylan Dog, sia per la sua ironia in situazioni praticamente assurde e per la sua vita impossibile, sia Groucho la cui serietà consiste nella non-serietà sistematica in ogni situazione, anche la più tragica.
Ecco, prendendo Groucho Sclavi avvalora la tesi che io avanzo su Dylan e cioè la rappresentazione della realtà nel suo rovescio, nell'irrealtà e nel surrealismo. Groucho, però, allo stesso tempo, essendo un anti-esistente, una sagoma, riesce a esprimere lo spirito dell'opera e del fumetto. Prendi invece Java, la spalla di MM. Pur nella sua assurdità come personaggio reale, egli fa parte della curiosità di Castelli per le cività remote, per gli uomini primitivi, ossia c'è più un interesse storico-leggendario rintracciabile qua e là. In Sclavi, questo non si coglie. Egli affronta il tutto come anti-storia, anti-realtà, anti-esistenza, senso del nulla, un nulla che parla a profusione.
Io penso, caro Galvez, avendo riflettuto su quanto hai scritto in precedenza, che sarà vero ciò che hai detto su Castelli, ma che, in effetti, su Sclavi la musura del suo essere nel fumetto è una linea di difficile demarcazione, anche se rintracciabile. Una demarcazione talvolta problematica, non commisurabile a quella d'altri. Certo, dovendo fare una scelta riguardo alla chiarezza e al realismo, Castelli forse sarebbe il meglio. Ma se dovessimo invece intendere l'approccio come intimismo io contrapporrei Sclavi.
Nonostante tutto, tale contrapposizione non risulta antitetica, né i termini si annullano, bensì sono due modi distinti di vedere la realtà, e ognuno di noi in base al fatto che sia più o meno realistico può riconoscere una maggiore presenza dell'autore nell'uno o nell'altro caso. Dipende dalla congettura di partenza che guida la nostra visione interpretativa e conoscitiva.
Sclavi spiega i suoi disagi mentali, Castelli forse la sua curiosità per il mondo. Mondo-intero e mondo-esterno, due psicologie differenti che fanno parte di una stessa realtà visiva e vissuta allo stesso tempo.
Ho scritto tutto questo perché mi sembra che in Castelli, tu consideri la sua maggior presenza narrativa dal punto di vista del realismo. Ma Sclavi non guarda in quel modo, anche quando ti strappa le lacrime con Johnny Freak o con il lungo addio. Egli in quei momenti sta continuando a guardare dal didentro. Che poi dal suo intimo sgorghi la realtà questo è altro. Ma i loro approcci sono diversi.
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