La mia attuale compagna si sta laureando proprio in semiotica e proprio su Eco: quale migliore occasione per rispolverare quello che ritengo essere un magnifico albo, e analizzarne i molteplici spunti [davvero tanti].
Innanzitutto la copertina: un
unicum all'interno della saga.
Non possiedo il
Dizionario delle lingue immaginarie [che omaggia il
Dialogo dei massimi sistemi di Landolfi nel (sotto)titolo: Aga Magéra Difùra], presunta fonte principale delle lingue abbozzate e spiaccicate alla rinfusa nei vari balloon. Fonte recensita, se non erro nel 1994, dallo stesso Eco. Giochi di rimandi.
Dal basso della mia ignoranza ho riconosciuto solo la scrittura geroglifica, quella pittografica, forse il gaelico stesso, e il Mister Mxyzptlk di supermaniana memoria sotto forma di interrogativo!
Condivido dunque lo stupore incuriosito di Dylan.
Bellissimo l'incipit notturno, sulla cui silenziosa desolazione si staglia il meraviglioso radiotelescopio [pag. 5].
Il contesto radioastronomico, coronato dal celebre bip bip[pag. 7], avrebbe fatto la gioia del povero Nikola Tesla.
Poi entra in scena Humbert Coe, che fra le pagine 11 e 15 specula sulla
lingua madre, o
lingua dell'uomo.
L'albo è datato gennaio 1998; cinque anni prima lo stesso Eco aveva pubblicato un saggio intitolato
La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, che tratta temi affini a quelli sciorinati lungo le 98 pagine. Forse abbiamo scovato un'altra fonte!
In quell'opera si parla anche dell'
Esperanto, vera e propria creazione linguistica umana che merita una certa attenzione. Perfezionata da un poliglotta polacco all' inizio del '900, l'Esperanto è stata più volte candidata e presentata come l'unica lingua futura per i rapporti internazionali. Nonostante l'ONU, l'UNESCO e l'OMS pubblichino i loro principali testi anche in questa lingua [e la Cina la trasmetta via radio], l' UE non ci sente, e preferisce spendere 1130 milioni di euro all'anno per mantenere la sua linea politica multilinguistica.
Dankon kaj adiau!Intanto, a pag. 21, Juliet bestemmia in un idioma che si scoprirà essere il
Wolof, lingua ufficiale del Senegal dopo il francese [pag. 65].
Del resto il francese è largodiffuso in Africa come prima lingua, con le dovute eccezioni, tipo l'arabo [Algeria, Egitto, Libia, Marocco, Sudan, Tunisia], l'inglese [Botswana, Gambia, Ghana, Kenya, Lesotho, Liberia, Malawi, Namibia, Nigeria, Sierra Leone, Repubblica Sudafricana, Swaziland, Tanzania, Uganda, Zambia, Zimbabwe] e il portoghese [Capo Verde, Angola, Guinea-Bissau, Mozambico, Sao Tomé e principe].
La splendida varietà delle minoranze, poi, appartiene soprattutto a due raggruppamenti: o al gruppo
bantu [che significa "uomini", essendo il plurale di
mtu, e comprende i vari
kirundi, sesotho, tswana, zulu, cafro e soprattutto lo
swahili] o al gruppo
khoisan, cioè, propriamente le lingue dei gruppi
khoi e
san [ottentotti e boscimani]. Sono tutte lingue davvero caratteristiche e armoniose, soprattutto quelle del primo gruppo, curiose anche da leggere.
Il gruppo bantu, a sua volta, è una parte del gruppo Niger-Congo, di cui fa parte lo stesso
wolof.Neanche il tempo di girare pagina [22] e mi trovo piacevolmente sorpreso dalla citazione di Joseph Greenberg.
Greenberg è un linguista poco noto, che ha osato sfidare l'ortodossia richiamando l'attenzione sulla necessità di restringere il numero di famiglie linguistiche; il suo massiccio utilizzo di dati extralinguistici [come la delicatissima genetica] a sostegno di questa tesi l'ha però reso una sorta di profeta nel deserto. Non era poi così solo però, come sottolinea pag. 63 citando il
nostratico : una superfamiglia linguistica teorizzata appunto da Shevoroshkin [1988], Bomhard e altri per delineare e spiegare alcune connessioni fra l'indoeuropeo e alcune famiglie limitrofe [dravidica, caucasica, uralo-altaica e camito-semitica].
L'aneddoto sulla poesia in nostratico, però, me l'ero perso!
A pag. 39 viene decantata però un'altra poesia, in
gaelico.
In realtà il gaelico non è esattamente una lingua; ecco forse spiegata la difficoltà nel reperirlo ed esporlo, come amesso nel Club dell'Orrore iniziale
Si tratta di un gruppo di lingue celtiche [della "seconda fase": celtico insulare] che comprende l'irlandese e lo scozzese; per chi è interessato [e lo sarà lo stesso Dylan, vista la passione per le irlandesi!], il più antico testo in irlandese a noi pervenuto fa parte delle cosiddette
iscrizioni oghamiche [V-VI secolo d.C.].
Al gaelico si oppone poi il
britannico, che comprende gallese, bretone e i defunti cornovagliese e manx.
Far parlare il "gaelico" in Galles non mi è parsa quindi una buona idea. Anche se nell' Horror Post vengono messe le mani avanti, dichiarando che la storia è ambientata prima della dichiarazione di indipendenza: presumo si riferiscano dunque al 1955, ma come spiegare allora le immutate sembianze di Dylan e Groucho?
Poco cambierebbe, comunque, linguisticamente.
Ma non poniamo troppi quesiti ad un'opera di fantasia
Passando a Juliet, c'è da dire che è un comprimario femminile piuttosto bizzarro nella sua normalità, come rileva anche Groucho [pag. 54]. Ma è puro "fascino" [pag. 53], sostanza, essenza che rende superflua la materia, come sarà per la piccola Eilidh.
A proposito, i due film annunciati e promessi, sparsi fra le pagine,dovrebbero riferirsi entrambi a Juliet e Eilidh:
Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir [1975] per la vicenda della scomparsa, e
Romuald e Juliette di Colin Serreau [1988] per la figura della Venere [steatopigia?] nera.
Chiude l'albo una citazione di Eco [e/con cardinale Martini], che suggerisce una teoria [meta]fisica poetica ed evocativa, sfondo e spiegazione ideale delle melodiche vicende di
Llangwntffrwd Yng Ngwyf.
Disegni storici e fantastici [pp. 5, 9, 12, 14-15, 16, 28, 39, 43-45 e potrei andare avanti all'infinito], un Groucho strepitoso sia di per sé sia nelle interazioni con il popolo gallese, satira e poesia, filosofia e scienza, esoterismo e magia, spunti infiniti.
E non ho mai visto il buonismo come un limite, ma come un modo di raccontare, un punto di vista più o meno adatto, che può avere più o meno detrattori o ricettori, ma che non trovo fuori luogo per principio o in assoluto. Una caratteristica, non un pregio o un difetto.
Credo che quest'albo abbia proprio tutto.