N.2 LA STANZA DEL GIAGUARO
S
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I
L
E
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In breve: Inferiore al n.1, sì certo, ma bello eh. Ambrosini riparte da Napoleone n.13, LA FORESTA CHE CAMMINA, e torna a pesce su un tema prediletto: l'interazione tra due società a diversi gradi di evoluzione e le ripercussioni dell'una sull'altra (lì Svizzera/Venezuela, qui Olanda/Canada, fa lo stesso). Quale sia migliore, non è dato sapere. Il <i>momento teorico </i> dell'albo, stavolta, è il dialogo JD/Hilman a pag.98-100 - chi meglio del giudice durrenmattiano per dare sostanza filosofica -, in particolare: "Ma le angosce e le paure non sono certo scomparse. Per di più, noi abbiamo perso l'arte di controllarle...". Gli indiani confidano in simboli semplici e diretti come la loro esistenza; il mondo di Dix ha ingarbugliato le relazioni umane (Annika, naturalmente), si è imbastardito e indossa le vesti del torturatore. E' questa la contrapposizione migliore della vicenda, che per il resto usa l'arte in modo sottilmente pretestuoso - una cosa è Vermeer, un'altra i "totem canadesi"... - e ha tutto l'alibi del giallo, classico ma funzionale: notevole e sfaccettata la condizione di JD, che si invaghisce di Karin e insieme indaga su di lei, lo sua come appiglio per starle vicino, quindi "spera" implicitamente nella sua innocenza, ma poi...
Si vola sempre alto.
Nota extrafumettistica a margine: due righe scarse sull'incertezza sentimentale del Nostro. Pag.89-91: entrata in scena di Annika, Camagni è molto bravo, lei è proprio "bona", Jan Dix invece è pazzo, altro che "quella biondina"...
Voto: 7
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