Non ho letto nessuno dei commenti precedenti, quindi potrei ripetere cose già dette.
SPOILER
Se volete ridere, sappiate che l'idea della storia, soprattutto nella parte iniziale, corrisponde a quella di un analogo racconto scritto da... [:x]PASQUALONE!!![:x] (racconto che poi è stato d'ispirazione per la scrittura della mia storia preferita di [:X]PASQUALONE[:X], cioè <i>Macchie solari</i>).
Per chi non ci credesse posto il link:
http://www.napolinoir.it/pages/ospiti/ruju.htm
Ecco, detto questo, detto tutto, nel senso che non c'è molto da dire, diciamo.
Disegni fra i più belli di sempre, Carnevale ha conquistato di diritto un posto nel mio cuore. La storia di Recchioni invece, al di là delle previsioni, l'ho trovata tutto sommato una storia normale, bella ma normale, nulla per cui strapparsi gli occhi dalle orbite. Sono un po' prevenuto verso i riciclaggi da John Doe, perché se volevo leggere John Doe compravo John Doe e non Dylan Dog: l'albero delle pene, Vincent/Fato, Mater Morbi/Pestilenza (ma soltanto dal punto di vista dell'entità astratta, per il resto i due non hanno nulla che li accomuni -a parte la sfiga di essere le entità più bistrattate a confronto con la guerra e la morte-), Dottor Vonnegut/Dottor Stanley. Però c'è da dire che in questo caso l'operazione di riciclaggio è meno fastidiosa che ne <i>Il modulo A38</i> (storia del sistema operativo/universo, etc.).
A parte questo, dialoghi sempre molto curati e interessanti, personaggi delineati con molta maestria, forse un piccolo eccesso di didascalismo, molto (buon) mestiere, ma (almeno per me) poco coinvolgimento, nel senso che non mi sono sentito risucchiato dalla sofferenza raccontata dalla storia, ho sentito molta freddezza nell'esposizione di una materia come questa, e forse è anche un bene nel senso che la malattia, quella vera, è così, fredda e arida, ti svuota dentro e lascia un gran vuoto. Ma purtroppo personalmente sono viziato dalla narrativa di Sclavi in cui tutto assumeva colori romantici e magniloquenti (<i>Oltre la morte</i>, <i>Johnny Freak</i>, ma per esempio anche <i>Il confine</i> di Chiaverotti). Diciamo che da un punto di vista di sensibilità io e Mater Morbi non siamo riusciti a incontrarci a metà strada.
Inoltre mi sembra che la storia sia nata con un'idea e poi si sia sviluppata in un'altra direzione (ma forse su questo può chiarirmi le cose l'autore): il primo risveglio di Dylan alla presenza del dottor Vonnegut credo fosse pensato come una realtà alternativa, secondo il gioco del "mi addormento e sono in una realtà e al risveglio sono in un'altra realtà, e non so distinguere quale delle due sia quella vera", vedi John Doe n? 6, <i>Nelle fauci della follia</i> (tanto è vero che a pag. 19 si vede Dylan con una cicatrice orrenda che gli attraversa tutto il torace, difficile da pensare per degli interventi in endoscopia: infatti sembra fatta da un macellaio cieco e col Parkinson). Mentre nella prosecuzione della storia si capisce che il dottor Faber è realmente morto e quello è realmente il Royal Free (bagni putridi inclusi), etc. etc.
Insomma, ipotizzo che si sia cercato di conciliare due dimensioni pensate inizialmente per essere separate.
Finale molto bello, davvero realizzato con grande arte (intendo l'attacco di cuore e l'amore eterno dichiarato da Mater Morbi, non l'arrendevolezza di quest'ultima di fronte al patetico tentativo di Dylan di sminuirla nella sua vanità: a questo proposito BASTA Dylan vittima della pietà altrui! Sembre che ormai l'indagatore, in situazioni di pericolo, riesca a salvarsi solo perché l'entità di turno lo vuole graziare: prima il Giardino, adesso Mater Morbi... [V]), un po' improbabili l'assenza durante la degenza di Groucho e Bloch, Vincent che per quanto possa essere stato reso maturo dal suo male, a volte parla veramente al di sopra delle proprie possibilità di quindicenne (insomma, sentendo parlare alcuni personaggi, sembra di sentir parlare sempre Recchioni: da questo punto di vista in alcuni momenti Dylan e Vincent sono indistinguibili), i rimandi chiaverrotiani (<i>Lontano dalla luce</i> e <i>Il buio</i>, introdotti all'interno di un aforisma di Neil Young reso celebre da King, come ricorda anche Recchioni sul suo blog), Dylan un po' stantio nel ripetere in continuazione "<i>Cosa vuole da me?/Cosa vuoi da me?</i>", un po' di Shakespeare romeogiuliettiano nel "<i>Togli il peccato dalle mie labbra</i>", un po' di Dottor House nel celebre concetto che tutti i malati mentono.
Insomma, mi aspetto sempre che Recchioni compia quel passo in più dall'ottimo mestiere all'arte che ancora non vedo, un po' più di libertà nell'emanciparsi dal citazionismo sfrenato e vedere più Recchioni, ma in modo diretto, senza questo continuo gioco di riflessi di specchi.
Per il resto, come ho detto all'inizio, Carnevale coi fuochi d'artificio e una storia bella, molto curata in alcuni dettagli, poco in altri, ma nel complesso ottimamente definita, però non rivoluzionaria come credo qualcuno si aspettasse.