N. 280 MATER MORBI
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MATER MORBI è un albo classico almeno quanto innovativo. Classico, perchè riprende la personalizzazione di entità ultraterrene, vera e propria base fondante della serie in qualunque epoca (dal n.10 ATTRAVERSO LO SPECCHIO: la Morte al n.161 IL SORRISO DELL'OSCURA SIGNORA: la Vita), offrendo qui il tassello più doloroso: la Malattia. Innovativo, perchè respinge la narrazione lineare (scansione cronologica degli eventi) e procede per quadri visivi, simbolici e trasfigurati, quasi cinematografici, situazioni stralciate che si concludono sempre in dissolvenze e sembrano proseguire oltre la pagina, in un'altra dimensione. In questo senso la storia crea un suo mondo, un vero e proprio "aldilà" che non è più neanche Dylan Dog ma soprattutto Roberto Recchioni. E qui veniamo alla seconda caratteristica fondamentale: l'empatia. Poche volte, a memoria di fumetto, si rammenta una storia tanto sentita: parlando della (sua?) malattia, l'autore si pone dalla parte esattamente opposta del riempitivo. Non può che essere coinvolto uno scrittore che scrive: "Agli occhi di chi sta male, quelli in salute saranno sempre manchevoli, perchè incapaci di comprendere il loro bisogno (...)". Ci possiamo soffermare a squadernare i molti simboli, anche e soprattutto visivi, di un intreccio che racchiude l'intera vita (le sue età, i suoi generi: uomo - Dylan - donna - Mater Morbi - bambino - Vincent), elencare i tanti colpi di genio (i segni sulla schiena di Mater Morbi: la sofferenza della malattia, inflitta e patita), apprezzare le tavole banalmente, semplicemente riuscite (pag.16-19 l'incontro con Selma, pag. 56-58 l'approccio con Mater Morbi, memorabile, ecc.). Ma preme piuttosto sottolineare la profonda consapevolezza del mezzo di RR, che scrive una storia teorica (ovvero piena di concetti: malattia, morte, sofferenza, guarigione) e collocata fuori dalla routine seriale - vedi l'annichilente finale - ma, miracolosamente, con questi elementi astratti ottiene il risultato semplice del coinvolgimento, la partecipazione, l'emozione, sua come dei lettori.
Il paragone diretto è MARTY, un altro capolavoro: a mio avviso, però, il presente albo è addirittura migliore perchè rispetto alla storia di Sclavi, che offriva un compendio dell'inventore di Dyd al suo meglio, questo è più nuovo e spiazzante, in quanto offre una scrittura peculiare, rompendo le solite logiche per proporre un altro stile, diverso da quanto visto finora (e Carnevale si esalta, diciamolo).
Va detto infine che Dyd sfiora la questione dell'eutanasia; lo fa implcitamente, e poi esplicitamente a pag.92, per quello che appare l'unica, possibile rimostranza del pacchetto: RR, entusiasmante nel maneggiare i quadri astratti, per toccare l'attualità usa la televisione e il diario di Dyd - con riferimento, consapevole o non, al caso Englaro - in quello che suona come facile espediente per stuzzicare la discussione ma resta, comunque, cosa di poco conto.
Insieme a MARTY, un dittico sulla malattia fondamentale per Dylan Dog (la serie e la concezione), per tutti quelli che lo amano.
Voto: 9
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