Cara Paola,
non so se tu sia ?gnucca? o che. Ho ben presente però la sensazione di ?essere nati per altro?.
Quello che volevo dire infatti credo fosse proprio che, personalmente, sono terrorizzato dal fatto che questa sensazione si porti via con sé i nostri anni migliori, (o non necessariamente quelli, per dire: anche si portasse via un anno qualsiasi mi starebbe sul culo uguale..)
Questo continuo desiderare altro rispetto a ciò che abbiamo, o questo sentirsi perennemente nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, a fare la cosa sbagliata (o semplicemente a non fare ciò per cui sentiamo di essere nati) sposta continuamente il senso della nostra esistenza verso un Altrove nel quale magari riusciamo ad immaginarci più felici, o con meno problemi, o semplicemente più in sintonia con quella che crediamo essere la nostra ?radice?, o vera natura, o chiamala come ti pare.
Ho passato anni a lottare, a difendermi da ciò che avevo GIA?, in nome di quello che avrei potuto/voluto avere/desiderare, finché ho compreso (e parlo esclusivamente a titolo personale, ovvio) che l?unica maniera di uscirne era quella di accettare ciò che ero e avevo in quel momento, Perché l?unica maniera di cambiare le cose passa in prima istanza attraverso l?accettazione delle cose stesse. E? un po? quello che accade in un ciclo di psicoterapia o addirittura nel campo della medicina tout court: il primo vero grande passo per risolvere un problema è riconoscere di averlo. E? quello che nella meditazione zen viene chiamata ?anicca?, mi pare.
La personalissima interpretazione della frase da ?biscotto della fortuna? (per dirla alla Vlad) che ti avevo riportato, infatti, non è che si debba ?accontentarsi? di desiderare ciò che si ha, senza poter sperare in qualcosa di meglio (anche se il meglio, come tu m?insegni, è sempre relativo). Ma è che, per cambiare qualcosa, per iniziare un percorso, bisogna partire da un punto (qualsiasi). Quel punto è ciò che siamo o che sentiamo di essere all?oggi, credo. O è ciò che siamo quando decidiamo che vogliamo cambiare le cose. Anche se quello che siamo non ci piace, anche se ci fa schifo, anche se tale consapevolezza ci rende infelici, noi siamo quella-cosa-lì, e dovremmo comunque esserne orgoliosi nel bene e nel male, perché tutto sommato è già molto. E da lì si dovrebbe partire.
Poi il tempo passa per tutti, ovvio. E un anno in più sta sulle balle a tutti, chi più chi meno. Anch?io quando ho compiuto i trenta mi sono trovato per un attimo a rimpiangere i miei venti, quando sentivo di avere ancora diecimila porte aperte, quando ero lava incandescente dalle potenzialità che sentivo di avere. Poi ho compreso però che anche ora sono pieno di potenzialità, forse anche più di prima, e che tutto sommato mi piaccio molto di più ora di dieci anni fa. Oltre al fatto che, se avessi continuato con i rimpianti, magari mi sarei ritrovato a quaranta a rimipiangere di non averne più trenta senza nemmeno accorgermene.
E allora mi è venuta in mente quella bellissima frase di Ray Bradbury, quando parla di ?nostalgia del futuro?.
E mi sono immaginato che forse, in realtà, io non sono un trentenne. Ma sono un settantenne che rimpiangeva i sui trent?anni e al quale è stata data una seconda possibilità, al quale è stata data la possibilità di tornare indietro. E mi ricordo che questo pensiero un po? infantile, quando mi è venuto, mi ha riempito di entusiasmo.
Vabbé Paola, lo so che è una stupidata e soprattutto mi scuso perché, alla fine, so benissimo che non c?è niente di peggio di spiegare ad una persona che si sente infelice che invece dovrebbe essere, se non felice, quantomeno serena. E? un atteggiamento di una presunzione mostruosa, soprattutto se rivolto a chi, come te, si sbatte tutti i giorni per cambiarle sul serio, le cose, e non solo per sé.
E? che penso sempre che forse, alle volte, anche le stupidate servano a qualcosa.
Magari semplicemente a farsi dare del presuntuoso..
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scusami ancora,
H.
P.S. Non riesco ad immaginare NESSUN caso nel quale essere sinceri possa essere considerato un atteggiamento poco intelligente. Alla lunga, secondo me, paga sempre. Tranne quando la tua ragazza o tua sorella ti chiedono se, per caso, non è che le vedi un po' ingrassate...
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