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<blockquote id="quote"><font size="1" face="Verdana, Arial, Helvetica" id="quote">quote:<hr height="1" noshade id="quote"><i>Originally posted by Bo.82</i>
Se va avanti così, la palma d'oro di Medda ha le ore contate...
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Per me sarebbe il minimo, su una base simile (indagine in un paesino di provincia), con i suoi limiti, la storia della Barbato ha ben altro spessore rispetto al brodino insipido di Medda. Non fosse altro per un grande Groucho, ben diverso dall'omino spento e banale visto nel Giorno del Licantropo.
Però mi tocca essere d'accordo con chi dice che non è decisamente la miglior Barbato. Anzi non ricordo una sua storia che mi ha lasciato altrettanto perplesso. Dopo un inizio folgorante, il racconto via via perde sempre più fascino ed atmosfera, per concludersi con un iperspiegone francamente poco interessante e tedioso. Come funzionassero le cose nel villaggio ormai lo si era intuito e alla fine non frega molto di sapere chi era l'assassino, dato che nessuno dei sosia ha una personalità. Certo stavolta lo "spiegone" poteva anche starci... però che palle dover essere sempre qui a giustificare questa cosa. Proprio perché da una sceneggiatrice come la Barbato mi aspetto di meglio, ho deciso di essere intransigente: lo "spiegone" è <u>sempre</u> una scelta poco elegante, la più facile per lo sceneggiatore, la più sminuente per il lettore. Ormai gli autori odierni di Dylan lo hanno fatto diventare normalità, ma quanti "spiegoni" c'erano nelle storie di Sclavi (che non mi pare mancassero di complessità)? E poi, che cavolo, persino nella Signora in Giallo lo "spiegone" dura al massimo cinque minuti su cinquanta, invece su Dylan questo mese abbiamo avuto due storie con due "spiegoni" di trenta pagine su cento.
E' vero anche quello che dice Rimatt, ci sono "accoppiamenti fra consanguinei, donne usate come macchine da riproduzione, una comunità costretta a uccidere per sopravvivere", tutte cose che è raro anche solo veder accennate sugli albi Bonelli, che però non vengono messe giù con molta forza, non lasciano il segno, anestetizzate come sono dai risvolti grotteschi. Alla fine non c'è ne vero dramma, ne vera ironia. Ecco una cosa che purtroppo l'accomuna all'ultima di Medda.
Brindisi fa il suo solito ottimo lavoro, anche se in tutta evidenza le sue non sono tavole pensate per il formato gigante. Poi col suo stile molto realistico non era forse il disegnatore più adatto per una storia come questa, dove a parte i sosia non c'è praticamente elemento fantastico. Sarebbe andato meglio qualche disegnatore più "metafisico" tipo Stano o Casertano.
Mi accorgo di essere stato un po' duro con una storia che comunque merita ed è acqua fresca per il Dylan attuale. Però lo ammetto mi aspettavo molto di più da una storia che prometteva di essere "maledetta".
Poi c'è anche la storiella di Di Gregorio: solo simpatica.
Dall' Agnol è come certi musicisti virtuosi, che piacciono tanto agli altri musicisti, ma che personalmente mi lasciano del tutto indifferenti. Stavolta il suo sperimentalismo e la sua "ricerca" sono meno scollegati del solito dalla storia, ma mi da sempre la sensazione che abbia poca voglia di mettersi al servizio della trama. Certo quando finalmente gli faranno la grazia di dargli da disegnare una sceneggiatura con un minimo di sostanza, vedrò finalmente se tanta bravura può anche trasmettermi qualcosa.
Alla fine, nonostante anche l'entusiasmo iniziale per "Il vecchio che legge" mi sia parecchio calato, per me un gigante "buono".
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