è piuttosto fisiologico abbandonare determinati cliché che accompagnano un personaggio sin dagli esordi.
Perché sono spesso direttamente legati al suo creatore il quale, sentendoli naturalmente, li introduce spontaneamente nelle sue storie.
Gli autori successivi vivono determinate caratterizzazioni come forzature ed è quindi facile per loro trascurarle.
Ecco perché preferisco una supervisione "invasiva" alla Berardi, ad una più "morbida" (inesistente?) alla Sclavi.
La qualità non è legata ai cliché. Ma è statistico che le storie migliori di un personaggio spesso sono quelle scritte dal suo creatore e quindi quelle con più naturali dettagli caratterizzanti. Quindi le due cose inevitabilmente e involontariamente vanno di pari passo.
Ovviamente generalizzando. Ovviamente in Italia.
In America è tutt' un' altra storia.
Aggiungo anche che molti cliché sono figli del loro tempo. Se un personaggio si carica di vent'anni di vita editoriale risulterebbero ridicole alcune sue nevrosi tipiche di una certa percezione del momento in cui è nato.
Nel caso di Dylan ritengo che il numero 100 (comunque splendido) ne abbia totalmente distrutto la già scarsa continuità narrativa e implicitamente non abbia favorito il ripetersi di alcune situazioni caratterizzanti; ed è pur vero, come dice Lord che molte storie del passato, pur molto deboli, erano elevate dal ripetersi di situazioni ricorrenti e dall' ironia/malinconia che ne derivava.
A.
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