N.258 LA FURIA DELL'UPYR
S
P
O
I
L
E
R
Ruju al suo peggio: una <i>monster story </i> che dura 13 pagine, esattamente quelle iniziali, con strisciante inquietudine storica ("Hai sentito che cosa è successo la settimana scorsa a Chernobyl?") e rabbrividente strage antropofaga, perfettamente eseguita dalle matite di Stano. Dopo, il disastro: plot illustrato per imbarazzanti spiegazioni dei personaggi (Lysenko e Berchov, due racconti che invadono metà albo - rectius: 49 pag.); riciclo consapevole e disinteressato di una messe di stereotipi, situazioni le più trite ("C'è una locanda, all'entrata del paese", "E' meglio che voi non lo sappiate, datemi retta", e giù dialoghi circensi); sequenze nude e trasparenti rivoltate con i soliti mezzucci, ancora l'ellissi - tacere qualcosa solo per svelarlo poche pagine dopo (esempio: pag.30 ripresa a pag.54) - a rendere interessanti (tentare di) soluzioni altrimenti viete e banali; pistolotti a profusione (pag.48-49, pag.87 - il "mostro buono" -, pag.98 - l'allusione moralista ai veleni) per ricalcare in grassetto il tema del giorno: <b>Il nucleare fa male</b>.
Angelo Stano se la cava sempre egregiamente (la tempesta: pag.30, 32, 35), resuscitando i "non-morti" come citazione amarcord del primo Dyd, e fa il paio stilistico e tematico con il fallimentare L'ASSASSINO E' TRA NOI: storia piovosa, cocktail di sangue diluito, tavole da manuale, un estro intramontato e cristallino che raddoppia i rimpianti proprio perchè nuovamente disseminato senza alcun senno.
Non interessa questa storia a Ruju, che fa il solito lavoro impiegatizio e rilancia il sospetto: Dylan barcolla, servono rinfozi, tanti autori sono cotti, la serie pericolosamente alla frutta.
Voto: 4
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