?Ucraina del nord, maggio 1986?: con questa didascalia dal sapore antico si apre una storia che di antico ha ormai poco o niente (ma non lo dico in senso polemico). A tal proposito, ho maturato una riflessione, divagatoria e oziosa quanto volete, che però voglio far passare dalla mia mente allo scritto: nell??oggi? in cui è ambientata la vicenda ? quantomeno dopo il primo gennaio 1992! ? Dylan Dog non avrebbe abbondantemente passato i quarant?anni, visto che nelle prime storie, ambientate proprio nel 1986/7 ne ha già trentatré/trentaquattro? Va bene che per lui il tempo scorre in maniera particolare, ma?
Accantonata questa disquisizione da massimi sistemi, devo dire di aver apprezzato, d?altra parte, la precisione storica e terminologica (il riferimento è, ad esempio, alle finanche troppo didascaliche pp. 17-18, ma non solo) e, più generale, l?aver tirato in ballo proprio il disastro nucleare di Chernobyl. Nel complesso, però, secondo me la storia funziona a sprazzi (ad esempio nella sequenza del primo incontro tra Sonja e l?Upyr o nella sottigliezza del vampiro contaminato dal sangue radioattivo, trovate anche per me d?impatto e sclaviane), nonostante possa contare su una certa compattezza derivante, cosa stradetta, dall?indubbio mestiere dello sceneggiatore, che assicura, in fin dei conti, una buona leggibilità al tutto. Sceneggiatura, dunque, solida nella sua semplicità (ma anche prevedibilità): il breve segmento narrativo iniziale viene portato alla <i>Spannung</i> (chiaro, comunque, come proseguiranno i fatti a grosse linee) dopodiché, con un?ellissi, il riflettore si sposta su un non meglio precisabile ?oggi?; di qui in poi, tutto quel che ci serve sarà recuperato con analessi sparse qua e là, in modo certo più semplice e funzionale che ne <i>Il custode</i>, sia pure con risultati altalenanti (la cornice entro cui è contestualizzato il racconto di Berchov è abbastanza debole, mentre le scene d?azione in esso contenute, pur non brillantissime, hanno a mio avviso il pregio di introdurre quantomeno un po? di ritmo; più belli e intensi, nella loro evanescente rapidità, i momenti in cui Sonja ricorda). Al tempo stesso, però, è proprio nella seconda parte (precisamente dall?ingresso nella base militare*) che la storia vira verso il piattume, con colpi di scena scontati, simil-osteomorfosi, dialoghi in alcuni punti da melodramma, facili simbolismi.
Sui personaggi coinvolti. Da diverse parti è stata stigmatizzata la non-funzionalità di Dylan alla storia, attestata dalla sua facile sostituibilità, e si è anche parlato di assenza di ironia (simboleggiata anche dall?assenza ? per il secondo mese di fila ? di Groucho, che però, a mio modo di vedere, non avrebbe trovato assai facilmente collocazione). Per quanto attiene la prima critica, in aggiunta al non essere particolarmente brillante, non è neanche supportato da un gran cast di comprimari. Sul secondo aspetto, è innegabile che l?ironia sia caratteristica precipua del titolare di testata, anche nelle circostanze più avverse, ma è portata a livelli di eccellenza principalmente da Sclavi (pure Chiaverotti e, soprattutto, Medda non sono poi così da meno); voglio dire, va tenuto conto della diversità di scrittura con Ruju (e ancora una volta non lo dico in senso negativo: la stessa Barbato non si distingue certo per graffiante ironia). Con questi presupposti, e con il tipo di narrazione che si è scelto di impostare, non trovo insomma questa mancanza così grave. Sarà anche che non sono più di tanto fautrice dell?impossibilità di evadere da certe caratteristiche, quando le circostanze lo consentano e/o suggeriscano, sarà gusto personale, fatto sta che la penso così.
Accantonati Lysenko e Beschov, che non ho trovato personaggi di grande spessore, due parole su Sonja e Tarak, il <i>fil rouge </i> che attraversa la storia da capo a piedi. Entrambi potenzialmente interessanti, soffrono, a mio parere, di scarso approfondimento, soprattutto nel senso del legame che li unisce, e che avrebbe potuto essere maggiormente esplorato. Tarak, poi, simbolo di quella tecnocrazia di cui parlava Dario (tema declinato in maniera abbastanza generica e retorica), sta in un limbo, ha le carte in regola per fare il ?salto di qualità?, ma poi il suo potenziale resta compresso, non riesce mai veramente a imporsi all?attenzione.
Sublime Stano. Nell?aspetto e nella mimica dei personaggi, negli ambienti, nella rappresentazione dei fenomeni atmosferici. Semplicemente da leggenda, ancor più che nella sua ultima, sempre straordinaria, performance.
Ultima, fondamentale notazione: non devo sbacchettonarmi un bel niente, mio caro. TASCHEN e chiudo.
<font size="1">* E qua mi sfugge perché Dylan e Lysenko lascino vigliaccamente Berchov al suo destino, senza neanche provare a sparare sui ?rinati?, considerando l?efficacia di tale forma di difesa (p. 93).</font id="size1">
Ciao,
Federica
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Non so se son peggio le balle oppure le facce che riescono a fare.
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