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Non mi è dispiaciuto alla fine, siamo sul
6 ½ che con qualche ritocco arriverebbe al
7 - senza troppa fatica, per cui sono mediamente soddisfatto
.
Di Gregorio si confronta con qualcosa chiaramente più grande di lui (
ben 5 classici moderni della letteratura & non solo...
perché Shakespeare di certo non scrisse Hamlet per gli scaffali delle biblioteche, ma solo per la scena live) e dimostra di sapersi giocare alcune carte (meta-)abbinando senza poi troppa seriosità il mondo letterario a quello dylaniato - cosa vecchia quanto Sclavi - con un incastro di scatole cinesi su alcuni punti chiave e motivi portanti molto intimi al Nostro Boy.
Quanto a profondità è tuttavia molto meno frivolo o
divertissement-esco di quanto possa sembrare ad una prima lettura; il problema è che GDG non riesce ad oliare bene questi incastri nei meccanismi della sceneggiatura per mini-episodi+cornice, né a proporre delle rivisitazioni così interessanti di questi classici, anche se l'elemento pro-Dylan è solido. Quello che rimane tra le righe rischia di rimanere spesso occulto, non per insensibilità del lettore, ma per approssimazione dell'autore, che piuttosto che dichiararsi sibillino, si perde spesso in alcuni
refrain, e per paura di sembrare didascalico finisce per dimostrarsi quasi inconsistente nella struttura complessiva.
Comunque ho apprezzato l'idea in quanto tale, e anche per questo
ci perderò MOOOOLTE parole - avvisate le vostre diottrie - più sotto per spiegarla secondo la mia personale ri-lettura interpretativa, sempre se ho letto lo stesso fumetto e non una copia impaginata male
Soddisfacenti i disegni, per quanto non ami la parte più mmmericana e squadrata della cornice di raccordo (v. Groucho stile strip comico nelle prime pagine);
meglio i colori, nella loro variabilità a secondo dalla storia, passando dal giallinoverde per le fantomatiche minacce aliene (senza Salvini o Di Majo in scia, chimica), all'espressionismo corposo del viaggiatore nottambulo, con il grigiore verdastro del quotidiano in decomposizione a Praga, nell'oscurità gotica della Londra vittoriana, fino al sangue blu nel volto dei regnanti di Danimarca, per concludersi con la dissolvenza di una bianca camera d'isolamento tanto cara alla
Barbato °°°SEGUONO SPOILER°°°
Premesso che forse il titolo ideale sarebbe stato questo...
... ma probabilmente i copyright di mezzo non l'hanno permesso (e di fatto qui Dylan non indaga per nulla, macchiandosi invece di qualche probabile assassinio virtuale)...
Di Gregorio riprende ispirazione da
Calvino nel senso complessivo dell'albo, che come il romanzo di una quarantina di anni fa si basa su una serie di false partenze/incipit per racconti mai terminati in disordine sparso, un complesso (meta-)gioco di complicità tra il lettore spaesato e l'autore inconcludente - che poi è il primo lettore di se stesso - nato dall'amore puro per la scrittura e quello di riflesso per la lettura
Infatti Dylan comincia la storia mettendosi comodo in pantofole per godere di un nuovo (suo?) albo per il gusto della lettura - un po' come tutti noi di riflesso - ma è disturbato da qualcosa che altera le sue aspettative, un po' come tutti noi nel 70% delle volte. Disturbi che provengono dall'esterno, dal contenuto delle pagine, o da quanto internamente a sé rielabora suggestionato dalle stesse storie su carta... che a loro volta nascono fallate in partenza per una serie di refusi da
proofreading, errori tipografici, sciagure d'impaginazione, etc. - forse la SBE fa autoironia
Il problema di Dylan è che si immedesima troppo in quello che legge... o anche in quello che
non ancora ha letto ma che qualcuno scrive per lui da un patrimonio comune (v. biblioteca di Babele sul finire)... essendo lui stesso un personaggio manipolabile dagli autori che lo reinterpretano da 30 e passa anni a loro uso&consumo o per togliersi degli sfizi in base alla proprie suggestioni
cult.
Sclavi in questo senso era un maestro nell'applicare il proprio bagaglio culturale al mondo che circonda Dylan, da E.A. Poe a Memo Remigi.
Per questo dopo aver letto soltanto l'incipit del
fantaromanzo di Adams sull'autostrada spaziale comincia a pensarsi sloggiato di forza - qui avverto di nuovo
parfum de Paulette - da Craven Road 7 identificandosi in una lettura già interrotta per proseguire con le sue personali suggestioni. In questo modo perderà sempre più contatto con il reale, sopraffatto dalle meta-finzioni letterarie della sua mente facilmente suggestionabile, talvolta imposte da certe "penne" che scrivono dall'alto.
Nel complesso il primo miniepisodio/incipit è snello e carino, molto umoristico come la guida per autostoppisti stessa, anche se le conseguenze dell'asfaltamento fittizio della Terra lasciano un velo di malinconia in Dylan (p.28) che preferirebbe rifugiarsi sotto le gonne di Rachel
Si ritorna nel secondo mini-episodio direttamente al
racconto iniziale di Calvino, quello del viaggiatore in confusione, a cui sfugge il senso del suo viaggio e delle cose/messaggi che lo circondano. L'unico bagaglio solido che si porta dietro potrebbe essere un tantino compromettente... almeno per un Dylan che tanto per cambiare da Indagatore si riscopre indagato, se non pesantemente indiziato di decapitazione.
Bene l'incipit d'atmosfera e la tizia enigmatica, non proprio il massimo il lungo inseguimento sul treno merci come la comparsata di Carpenter, ma rientra tutto nei conflitti & paure in projezione di Dylan, che rielabora da un testo di sottofondo quella realtà attuale in cui è spesso entrato in collisione con lo sbirro-armadio, che non vede l'ora di incastrarlo con le solite menate
.
Le cose si fanno ancora più vacillanti, a livello di identità, nel terzo mini-episodio/incipit che riprende
o' scarrafone di Kafka, il mostro, il "diverso" dentro tutti noi, che in fondo non è una metamorfosi ma solo una manifestazione più consapevole di certe cose. Di Gregorio altera parecchio il suo Dylan Samsa, visto che lo rende piuttosto ardito nell'andare a zonzo fuori di casa e ribattere da petulante alcune accuse, ma questa alterazione non ajuta di molto la (scipita) conclusione in cui il bagarozzo si accontenta di spegnersi perché non riesce più a riconoscersi nella società che lo circonda né in se stesso (p.58). Non so se è un meta-apologo del Dylan meteoristico, ma per fortuna i facili riferimenti xenofobi sul tram non tracimano nel consueto mantra dell'inedito
.
In queste tre prime ministorie Dylan alla fine soccombe ed è sempre passivo, secondo copione altrui. Da pagina 59 in poi, più o meno alla cesura dell'albo, passa al contrattacco, prova ad imporsi, mettendo in discussione anche chi lo circonda e prendendo delle decisioni per conto suo... per quanto ancora rintronato dal sovrapporsi dei vari livelli di meta-narrazione e citazioni, tra autostoppisti cosmici, treni perduti, insettoni sgobboni, etc... e creando quindi ulteriore caos, senza regnarlo
.
Ecco quindi che nell'intermezzo rosa prova a mettere dialetticamente alle strette Rachel davanti ad una pizza sull'origine della loro relazione (forse una pizza pure quella
), e poi rivisitare su di sé
lo strano caso del Dott. Jekyll per far emergere il proprio lato oscuro-Hyde, e compiacersene... fankulo il Dylan damerino e buonista, ke rottura di balle le belle maniere e la buona educazione, sapessi ke liberazione stuprare la propria ultima fiamma ed accoppare un miglior amico troppo ficcanaso
.
Senza dubbio questo quarto episodio rivisitato è quello più didascalicamente telefonato per spunti e finalità messe in discussione, ed ha anche il demerito di durare un po' troppo senza proporre variazioni particolari sullo sfondo di Stevenson, ma comunque è ben applicato al tema della duplicità (inespressa?) nel Dylan di routine.
Le conseguenze di questa spersonalizzazione letteraria sulla sua fragile tempra non sono inoffensive, visto come Dylan finisce ridotto presso il pronto soccorso della neuro (p.80-82). Neanche i sogni sotto sedativi lo ajuteranno molto, se poi dovrà projettare i suoi dubbi esistenziali e le sue ansie di riscatto interfamiliare
nella figura di Amleto, che come sappiamo da oltre 400 anni alla fine crepa sempre insieme a tutti quanti, come tragedia volevasi. Forse questo cameo shakespeariano è un po' troppo sbrigativo a differenza degli altri, e poteva presentare qualcosa di più sostanzioso di un semplice sferruzzare di fioretti per vendetta... ma i riferimenti al conflitto con l'identità/autorità paterna sono azzeccatamente in topic, sapendo quanto sia scissa a priori la figura di Xabaras e di quanto Dylan ne soffra da secoli, in ombra
.
Anche Morgana merita una piccola appendice letteraria
en passant, ma non di fate arturiane si tratta, bensì del
mito di Edipo per chiudere il ciclo, con tanto di sfinge che parla per enigmi (p.91) ed amore subnormale per la propria madre… solo che persino Di Gregorio si accorge qui di aver ormai accumulato troppi filoni sull'identità riplasmabile di Dylan ed alla fine butta allegramente tutto in malora, acqua+secchio+bambino, con l’escamotage sbarazzino dell’amanuense fallace di copincollagio e la metafora delle (troppe) storie che si sovrappongono in disordine sparso come codici medievali su un palinsesto corrotto. Mi sarebbe di certo piaciuto di più un sorrisetto malvagio del ragazzotto sotto la chierica, alludendo a qualcosa di diabolico sottotrama, piuttosto che un semplice incidente di negligenza, tra accuse di raccomandazioni e benedizioni agli ebooks…
Ma forse anche questa è una metafora del lavoraccio interno allo staff di redazione, costretti a sobbarcarsi (da semi-incompetenti?) cariconi tipo-container di consegne e scadenze al punto da incasinarsi tra un racconto e l’altro, tra un Dylan diverso dall’altro, e fino a perderne la bussola, identità compresa.
Non è che mi sia dispiaciuto molto questo passaggio malandrinamente bonario e ironico, che a sua volta ricorda
Borges e la
Piccola Biblioteca di Babele made in Sclavi – per quanto mastro
Chiaverotti (
) nel
Monastero avesse predisposto un’avventura dylaniata da premesse simili con risultati migliori - … è solo che stona parecchio con il tenore più fosco delle precedenti 70 pagine (esclusi gli alieni di Adams, ovvio) come con quello clinicamente alienato delle ultime due, dove Dylan ricasca nel suo non-Ego psicolabile alle derivazioni e riscritture altrui, auto-afflitto da una serie di citazioni labirintiche che non lo ajutano a trovare il senso della propria esistenza
.
TO DIE, TO SLEEP –
PERCHANCE TO COUNT 42 ALOHAs IN A SUMMER DREAM