Mi accodo a Cyber Dylan nella generale delusione, per un motivo molto semplice e, al contempo, credo abbastanza complesso [che forse appartiene solo alla mia mente].
Ci sono tre argomenti che, a mio avviso, Dylan Dog non dovrebbe più toccare: la morte, il lavoro/burocrazia e Dylan Dog stesso. Il secondo, rispetto agli altri due, ha anche delle aggravanti: 1) È stato trattato da chiunque, dall'antichità a oggi; 2) È fortemente politicizzato; 3) Come conseguenza del punto 2, è stato trattato sempre allo stesso modo.
Bilotta è un grande, scrive con personalità e carisma, ha talento e visione, ma corre da fermo. Fa i salti mortali sulla cyclette. Potrei analizzare i contenuti e la sceneggiatura in mille modi diversi, tutti positivi [tipo la Fine dell'episodio messa lì, ben altro che mera volontà di stupire], ma sul tema di fondo non fa un passo rispetto al solco tracciato dai predecessori. E i nomi di Villaggio e De André, giustamente sottolineati, risalgono a qualcosa come 40 anni fa.
Cos'è cambiato da 40 anni a questa parte, sulla ricezione del tema del lavoro? Nulla. Nulla, e il motivo è il punto 2 di prima. Non è un mistero che, da 40 anni a questa parte [ma diciamo anche dalla fine della guerra?], l'arte e la cultura siano di proprietà della sinistra, ideologica o meno. Vi viene in mente il nome di un grande cantautore di destra, tranne - forse - Battisti? E Battisti, forse proprio per questo, è stato uno dei pochi che ha potuto permettersi di cantare di qualunque cosa, fossero anche semplici emozioni, senza lasciarsi contagiare prima o dopo dal morbo della politicizzazione coatta. E Fantozzi, che io potrei declamare a memoria come il pelide Achille o le sacre sponde, è proprio la prima grande vera elevazione artistica, a livello cinematografico, da sinistra [e dal basso], di una certa visione di un certo mondo.
Ora, che Dylan Dog sia vagamente orientato a me sta pure bene. Recchioni stesso dichiarò in un post che chi vota Salvini e legge Dylan Dog non ha capito un cazzo, e sottovoce posso pure dargli ragione. Però. C'è un però. E il però è che non riesco a smettere di pensare all'orrore, quello sì, che mi susciterebbe un albo che parlasse finalmente [provocazione voluta] del lavoro come di un qualcosa di magnifico. E mi susciterebbe orrore perché l'unico nella storia che ha avuto l'ardire di farlo con una celebre scritta non fu Villaggio, e neanche De André. In generale, non fu nessuno che a fine albo ricorderei con un sorriso. Ecco. A quel punto, avrei davvero la sensazione di stringere qualcosa di autenticamente demoniaco, un fumetto che trascende se stesso tornando autenticamente alle origini. Il che non significa che quell'albo debba poi corrispondere al pensiero dell'autore, ma sarebbe un effetto novità, coraggio e futuro[/passato] che mi piacerebbe davvero vedere.
Dice: hai sbagliato fumetto. Io credo di no. Quando parlo di origini e futuro/passato, mi riferisco proprio al fatto che il primo Dylan Dog era tutt'altro che politically correct. Anni fa, la sensazione era quella di avere fra mani l'incarnazione del male. Si pensi a Gli Uccisori, e alla sua spirale di violenza che alimenta se stessa non risparmiando nessuno. O a Il male, e alla sua conclusione ciclica e fatalista. Il problema è che gran parte di quella caustica irriverenza oggi è diventata la norma, anche ad alti livelli. Si pensi al progresso della ricerca scientifica sullo sfruttamento degli animali [Goblin] o allo sdoganamento ormai pressoché totale del fumetto, e del fumetto "violento" [Caccia alle streghe]. La mancanza di polso dell'attuale Dylan Dog, che io stesso ravviso, è dovuta proprio al fatto che il personaggio è stabile sul percorso tracciato da se stesso. Ma è un percorso ormai collettivo. Dylan Dog non è più solo su quel sentiero, il che gli ha fatto perdere molto e lo ha condotto alla stanchezza attuale.
A me questo Dylan Dog ha rassicurato. Come mi rassicurano Villaggio e De André. Cazzo, c'è qualcuno che la pensa come me. Forse possiamo lottare insieme, e unirci per cambiare lo stato di cose. No, io questo non lo voglio più vedere. Non voglio essere rassicurato. Voglio rivedere quella luce, quella antica, quella delle origini appunto, che filtrava dalla consapevolezza, o dalla speranza, che tutto quell'orrore non poteva essere altro che finzione. Una finzione, e un orrore, che riuscivo a contenere proprio perché li imprigionavo lì, fra quelle pagine, semplicemente chiudendo l'albo. Cosa che con la realtà non è possibile. Un vero e proprio esorcismo mensile. Oggi chiudo l'albo, e gli impiegati costretti a lavorare gratis sono ancora lì, molto vicini a me. No. Non ci siamo.
A margine, ma coerentemente, ho trovato il finale il trionfo della retorica più assoluta, e anche più banale. La fila infinita di operai spersonalizzati e senza volto. Io quelli li vedo ovunque. Non voglio il mio ovunque, voglio Dylan Dog, perché altrimenti potrei fare a meno di leggere. E in generale, l'albo mi è parso pesante e poco scorrevole, una copia di mille riassunti sul tema del lavoro cacca appiccicati e sovrapposti uno sull'altro [e il quintale di citazioni non è un buon segnale, in questo senso]. Comunque non è privo di colpi notevoli, e lo stile di Bilotta è maturo abbastanza per sostenerlo a dovere senza cadute di stile. I disegni poi sono strepitosi. Rigacce nevrotiche, overdose di buio alternati a pianure di bianco asettico, volti scavati e dolorosi come pochi altri: personalmente, una gioia per gli occhi e per la storia che si voleva raccontare.
Che, concludendo, rimane per me la grande assente. O la troppo presente, a seconda dei punti di vista.
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