Libri di sangue[Titolo ultrabanale in una storia in cui (per auto-ironia involontaria?) proprio uno dei diretti interessanti si lamenta della banalità dei titoli ]
Disegni 8+ Testi 7 - Parto dalla cosa migliore che sono i disegni di un totem come
Dall'Agnol.
Non capisco quale sia (e come influisca) l'apporto tecnico delle chine della Sig(na?)Corbetta, ma lo stile del mitico Mastro Piero rimane unico ed invariato. Una gioja per gli occhi anche nei dettagli, come il modo in cui ritrae le strade di Londra, le scomposizioni geometriche delle ombre, il design dei mobili, la classica scrivania di Dylan, le espressioni di rabbia & terrore, etc. Meno radicale e sfrenato che nel
Cuore degli Uomini, ma non corre il pericolo di imborghesimento, per quanto alcune tavole mi sembrano un po' troppo normalizzate/addomesticate (pp.230-33) e su certi prima piani ricorda troppo Piccatto (p.277.iii-iv; 279 i-ii). Il meglio ce lo regala nel finale con lo sbranamento scuoiante dei cani e
la dissolvenza luminosamente edenica di Isaac
Sulla storia in sé non c'è molto da dire, e non a caso l'argomento sinora più discusso qui sopra riguarda la (straaaaana
) ambientazione anni '90s. Onestamente non ne capisco il motivo - come del mancato adattamento ai giorni nostri - ma se è stata mantenuta tale per il fascino del vintage (v. monitor ingombranti, floppy disk, etc) o per presunte ragioni di trama (il soundtrack commentato di Oasis e Take That; + la faccenda dell'attentato a Rabin)... me pare nà mezza shtrunzata messa lì per giustificare semplicemente un progetto partito (molto) tempo addietro nella scrittura di Accatino e terminato in stampa con ritardo colossale
.
Tornando ai testi,
Accatino va un po' meglio che nel
Generale Inquisitore ma
conferma la sua fase calante. Di scrivere lui - anche senza voglie ramificate sul muso - scrive molto bene e si capisce che siamo sopra la media corrente. Una penna che non mente. Ma qui ci appioppa una storia telefonatissima senza guizzi particolari o motivi da approfondire. Quando Dylan apre il romanzo di Avi e legge alla tipa la descrizione dello scrittore immaginario Isaac
in pratica finisce lì la storia, e la sospensione nell'incubo in cui ci ha attirati. E siamo a poco più di metà pagine; da qui in poi è solo un placido attendere l'inevitabile scissione definitiva del rapporto tra lo scrittore & il suo doppio
fiction-ale. Che avviene per un incidente prosaicamente infausto come quello in apertura:
se non vuoi che ti caschi un tizio in testa, non è detto che cascando tu in testa a dei pittbull salverai la pellaccia E la sequenza idillica finale è troppo consolatoria e pre-scritta (tipo medicinale), chiudendo il cerchio ideale nella riscrittura della scena iniziale che scorre battuta a macchina. Carente -
perché andava sfruttato meglio - tutto il potenziale gioco di intrecci tra realtà e fantasia narrativa, che rimane ancorato solo all'interazione casalinga tra le due controparti dell'autore: si poteva fare molto meglio in questo ambito di scatole cinesi riflesse su specchi ricurvi. Resta un Dylan (personaggio) scritto come dio comanda, Bloch sarcastico e disilluso al punto giusto, alcune buone scene di tensione nevrotica tra Isaac e Avi, che quando deve seviziare qualche ganza però secondo me esagera nello straparlare o soffermarsi sulla musica
A livello personale, aggiungo che quando all'inizio della storia ho letto quello svolazzo sulla "
felicità [che]
profumava di rododendri e sole" avrei lanciato giù dal balcone qualsiasi romanzo contemporaneo che mellifluisse formule simili. Vedermela pure rifilata come chiosa finale acuisce le possibilità che per l'irritazione getti dalla finestra questo Maxi legandoci attorno l'opera omnia della Mazzantini, sperando di non disturbare i crani di qualche coppietta all'uscita dalla cornetteria sotto casa, mentre è intenta a sbaciucchiarsi tra nutella e zucchero a velo
E ALOHA SE RODO DENDRO
E BERGHE' NUN ZEI IL MIO ZOLE