Tornando un po' in topic sull'albo in sé
S
P
O
I
L
E
RA grandi linee mi è piaciuto, ma senza particolari entusiasmi e con diverse cose che non mi hanno convinto.
Votato idealmente 7 perché la scrittura di Bilotta è comunque sopra la (asfittica
) media di altri autori ed alcune fasi delle lettura si sono rivelate parecchio avvincenti.
Eppure, nel complesso, è un Bilotta due spanne sotto la sua media... ma a sua parziale discolpa va detto che qui è stato piegato alla "causa" di RR e delle sue rivoluzioni siderali in atto, rinunciando ad un nuovo episodio (probabilmente sempre divagante) del PdM, per invece tributare il Sommo di un (presunto) trait d'union con quello che succederà sulla regolare tra pochi mesi, sempre a propositi di cicli, remake, etc.
Gira e rigira sempre là stamo, altro che "piccole rivoluzioni" (cit. editoriale). Quando non sanno cosa inventare, nella disorganizzazione imperante, rivangano dal passato per aggrovigliarsi attorno a cose a cui Sclavi non dava alcun peso, se non le derideva espressamente (v. concetto di continuity, passato dei personaggi, trame orizzontali, etc).
Rimestare nel noto/volutamente indefinito non provoca necessariamente moti
rivoluzionari: in certi casi, come quelli siderali, si tratta solo di un percorso ellittico per tornare al punto di partenza. Più storditi di prima
Tornando all'albo,
come dicevo prima è un Bilotta sotto le sue stesse righe: più interessato agli sviluppi della trama, al piacere di raccontare, che ad approfondire le psicosi dei personaggi o imbastire scene clou particolarmente drammatiche (a parte la fuga dalla Polonia).
E la trama procede a marce molto sostenute, va detto, ma poco fluide, con sbalzi improvvisi ed alquanto goffi... da farmi pensare che questo tipo di storia era stato in origine impostato per una doppia (o una tripla?) sulla regolare, come prequel apripista della "piccola rivoluzione" in atto e menzionata sopra. Nulla che c'entrasse più di tanto col PdM comunque, del quale sapremo qualche nuova se tutto va bene nel 2024, rinviando per l'ennesima volta gli sviluppi di tracce sparpagliate da oltre un decennio. E magari nello S#38 si parlerà del passato di Osmond o di quello di Miss Jenkins, così la sagra del gambero potrà procedere sempre più. A ritroso, lesso
[...]
Scendendo un po' nei dettagli, come tutti ho apprezzato la prima sezione dell'albo fino a p.70 e in generale anche il proseguo non è male, diciamo fino a p.130.
Il problema è l'ultima trentina di pagine, banale, confusa, rattoppata con escamotage di livello abbastanza scadente senza arrivare a nulla di che. Un mezzo spreco detto in parole spicce, forse soffocato o penalizzato nella difformità last minute dal fatto che non era questo singolo albo l'ambito editoriale in cui dovevano prender scena le vicende (rivisitate) dei fratelli Hicks, sull'onda dei remake parziali dal #401 in avanti (v. saga666).
Senza entrare nel merito di posture, dx-sx, equivoci tra Mari e Bilotta, etc - l'hanno già fatto altri a profusione -
tutte le scene action sono concepite male e realizzate peggio. Non è roba per Bilotta e si vede lontano 100 miglia. Forse era meglio bypassarle in liofilizzazione per dedicarsi ad altro.. ma anche qui temo ci sia lo zampone (zoppicante) delle richieste esplicite da parte del Sommo a cui Bilotta ha dovuto piegarsi.
Aggiungo solo che la fuga rompicollo in camionetta del nazista mi ha fatto pensare ad
Indiana Jones, e chissà quante altre citazioni saranno state diffuse, per la gioja del Rrobertone nazional-
pop-olare.
Una cosa mi sembra abbastanza squinternata in quell'ambito, anche ammettendo che si tratta di un'allucinazione mai vissuta:
ma Dylan che razzo vuole da Bauer in quella sequenza (pp.16-18)? Ucciderlo no di certo altrimenti si sarebbe presentato armato. Denunciarlo ai suoi superiori neanche, perché i nazisti stessi stavano per condannare Bauer a morte. Chiedergli spiegoni illuminanti manco mi sembrerebbe, perché pare un Dylan già informato sulle magagne di Herr Doktor. Deportarlo in Inghilterra per curare una pustola sul naso di Churchill? Tralasciando le ipotesi di predica evangelista pre-esecuzione o cenetta post-partitina di poker, manca totalmente un presupposto di quello che scatena o in cui vuole immischiarsi lì Dylan.
E su questo purtroppo siamo sull'onda di molteplici letture recenti dylaniate dove non solo manca una logica in quello che i personaggi dicono, ma si grovierizza di falle anche quello che mettono in atto.
Buono il cinismo della madre in vitro tedesca (pp.32-33),
ben dipinto il rapporto genial-fraterno tra Jakob ed Esau, che forse è la parte migliore del lotto. Non so quanto influiranno i paralleli biblici, ma alla fine sembra che gli orignali si riconciliarono, mentre qui non intravedo per ora una forma di "conflitto" tra i loro epigocloni. Non mi è piaciuto particolarmente il cameo d
i Mabel Carpenter - a metà tra ragazzetta babysitter ed invadente infermiera improvvisata - né il fatto che
Vergerus sia rimasto per l'ennesima volta nell'ombra... di sé
Passiamo ai giorni nostri. Qui le cose si appiattiscono parecchio e si vede che la sceneggiatura originale è stata tagliata di brutto per accelerare i fattacci. Dello spirito da remake crepuscolare (#7
La Zona del Crepuscolo e #57
Ritorno al Crepuscolo) rimane davvero poco:
farewell Inverary.
Questo perché a Bilotta interessa più la faccenda dei cloni visti nel #22 (
Il Tunnel dell'Orrore) che la parte legata al noto
villaggio scozzese - sto ancora aspettando di capire quando Bilotta oserà contestualizzare motivando quella sparata su Inverary traslocata nello Oxfordshire
Questa parte è in parte carina ma zoppica parecchio.
Ho trovato eccessivamente ingombrante la presenza di Groucho, con una punta di rilievo solo sul cruciverba surreale (p.125), mentre va liquidata come pura pagliacciata grossolanamente aggratise (spero auto-parodica!
) la scena con i nosferatu più fessi del multiverso (pp.79-82)... e mi gioco l'anima del mio clone che quando uno dei vampiri parla di Groucho che l'ha raggirato spacciandosi per damigella vergine baffuta, il Sommo ha voluto piazzarci
una meta-citazione di quando nel #22 lo stesso baffuto si spacciava per la figlia della Thatcher, allora premier UK.
Abbastanza penosa l'ennesima irruzione a sbafo in casa di Hicks, come
poco interessanti le dinamiche con cui Opal.2 interagisce con Dylan. In pratica lo imbocca comodocomodo con tutte le info che gli servono, gli rivela tutto alla lettera stile libro aperto, lo porta di qua, lo consola di qua. Personaggio parecchio deludente e lanciato a marce sostenute perdendo appeal ambiguo o mysterioso, a differenza dell'originale (parola grossa, parlando di cloni) Opal.1 dal #57. La cosa peggiore, e torniamo alle abissali falle logiche od approssimazioni narrative da faciloneria per fessacchiotti, è che Opal.2 dichiara a nove colonne senza peli sulla lingua (p.149)
che voleva espressamente scappare dal suo padre biologico, per liberarsi dalla sua figura... mentre poi Dylan la trova per la prima volta proprio presso il domicilio dello stesso Hicks-Bauer a fare non si capisce cosa, a piede liberissimo, al buio di notte vestita (p. 97)
Piacevole come excursus la caccia al clone rimembrante - guarda caso tutti riesumati dal DNA di mezzi maniaci, assassini o terroristi, anche se c' è da capire che danni possa fare un miliardario che si riscopre umile barista (pp.103-104)
- ma siamo a livello di indagini che un Marzano qualsiasi potrebbe impostare, Bloch compreso: anche qui mi sembra un Bilotta un po' sprecato o fuori forma per colpire.
Rimane la parte finale con le ultime 30 pagine davvero scadenti.
In pratica è tutto un shougno nel shougno, con Dylan ipnotizzato da nonsisaquale controfigura di Jacob Hicks per farlo inebetire o sbarazzarsene - forse un parallelo con le ragioni che spinsero Esau Hicks a spedirlo ad Inverary nel #57, con Opal.1 esca/cavia - e tanto basti. Poca suggestione onirica, scenette di delirio con Mari al risparmio, tutto molto telefonato e placido,
ambientato in un "non luogo" vuoto ed insignificante - senza porte, ma con ottima pavimentazione per lo yoga e cessi muniti di rasoi per non sfigurare di barbone (p.135.iii-iv). Soluzioncella puerile (basta attaccarsi ad un ricordo vissuto davvero, p.159), mentre si prova a stento anche a darsi un tono "impegnato" (v. cenni a temi come l'assenza di fede e sospensione di giudizio, p.144), ma qui si cilecca soprattutto nel darsi un appeal in quanto esala verbalmente Esau Hicks nel finale, a parte la tesina sui parassiti dei cadaveri: a conti fatti dice semplicemente (non fosse stato chiaro per le precedenti 150pp di sceneggiatura) che vuole popolare in mondo di cloni,
eggraziarca' Cliffanhger conclusivo tiepido come un caffè lasciato a dimenticarsi in un microonde : forse ne uscirà qualcosa da scongelare l'anno che viene, ma visti i precedenti mi viene da dubitare della circolarità di queste saghe nate per arenarsi prima di esser prese sul serio dai loro stessi editori.
Senza contare che, per quante pezze narrative, allucinazioni, mesmerismi, meta-pippe, multiversi, e reboottanate varie possano intavolare per provare a far quadrare le cose, rilanciando al rialzo in fessate...
... la
timeline di questo episodio è macchiata DA UN GRAVE ERRORE se si vuole associarla a quella dei primi #69 numeri originari, visto quanto Bilotta ha totemizzato quell'albo, tipo spartiacque (maddeché
).
Appena ho un po' di tempo vi spoilero (a ritroso
) di cosa si tratta... dopo che ho preso un cicchetto col Sig. Valdemar da qualche altrove prima di polverizzarsi.