Dico la mia, anche se premetto che leggo Dylan una volta ogni morte di papa, regolarmente a scrocco e fondamentalmente solo per curiosità nei confronti di nuovi autori italiani. Non ce l'ho con Recchioni per partito preso, come credo testimonino i miei rari post su questo forum. Ovviamente ha un ego grande come una casa, ma lo stesso può dirsi di tutti i creativi/intellettuali che conosco, anche personalmente, e non credo potrebbe essere altrimenti (qualcuno ha mai visto che razza di sermoni rilascia Manfredi su FB, quasi quotidianamente?). Detto ciò, al di là delle ragioni per cui è spesso amato/odiato (atteggiamenti sui social eccetera) e che trovo irrilevanti, personalmente credo che molto semplicemente sia un autore dal talento abbastanza modesto. Non so se amerebbe autodefinirsi un iconoclasta, forse anche sì, ma le provocazioni che costituiscono uno dei suoi tratti distintivi da anni (Asso, per dirne una) non le ho mai trovate particolarmente perturbanti. Alla fine quelle che adopera nelle sue storie sono trovate collaudate ricoperte da un sottile strato di provocazione, diciamo alla Muccino, piuttosto che esplosioni iconoclaste alla Peckinpah.
Non che sia l'unico, visto che lo stesso atteggiamento secondo me ce l'ha il 90% degli autori italiani emergenti anche se molto diversi tra loro, da Bevilacqua a Ratigher, vale a dire la quasi totalità del catalogo Bao/Coconino/Feltrinelli comics degli ultimi anni. Impegnati a presentare temi banali la sicumera di chi sta scrivendo la Nona Sinfonia. Non voglio sparare nel mucchio a tutti i costi, perché non ricevo la stessa impressione da gente come Bilotta o grandi vecchi come Ambrosini, ovvero - guardando all'estero - Sfar o Trondheim, per citare i primi che mi vengono in mente: abili narratori in grado di scrivere lavori complessi con sostanza, acume e a volte anche umorismo. Soprattutto sostanza. Bilotta mi lascia sempre qualcosa, anche nei suoi lavori meno personali. Le storie di Recchioni mi sembrano sempre prevedibili, come una partita di cui si conosca già l'esito finale all'inizio.
I discorsi su citazionismo/non citazionismo, cultura/non cultura, li trovo del tutto secondari e completamente fuorvianti. Sono convinto che Recchioni per primo si farebbe una ghignata gigante a vedere considerate le sue storie "fumetto d'autore per pochi", addirittura per MENO persone del Dylan sclaviano. Cioè, è proprio l'opposto della filosofia che lui per primo predica da anni. Metafumetto, autori che interagiscono con i personaggi, autori che vengono uccisi dai personaggi: scusate ma alla fine è tutta roba vecchia come il cucco, proprio non capisco come possano essere considerate trovate originali, o anche - all'opposto - suscitare indignazione. Francamente: ma chi se ne importa. E cosa c'entra il postmoderno? Nemmeno stessimo parlando di Pynchon.
Il citazionismo poi... OK, c'è un riferimento visivo a Solaris di Tarkovskij. Magari è anche vero, nell'era di Instagram, a livello nerd/pop citare Tarkovskij (o Coppola, per quello) è paragonabile a tradurre un'iscrizione assira senza vocabolario, ma per quanto i suoi film siano complessi è in assoluto il regista russo più noto in occidente dopo Ejzenshtejn. Al di là dello stupore di qualche novellino che non hai mai nemmeno sentito nominare Solaris, non stiamo parlando di chissà quale lavoro di ricerca. Certo non è paragonabile a quello che Ambrosini riusciva a sfoderare su Dix o Napoleone.
Ma ripeto, questo discorso su cultura/non cultura alla fine c'entra poco. Per me Dylan Dog non è mai stato un fumetto "colto", anzi, secondo me nemmeno Sclavi è mai stato l'intellettuale che - magari un po' frivolamente - lasciava intendere di essere. Avrà pure letto i Buddenbrook, ma in Dylan Dog c'era molto più Stephen King che Thomas Mann. Con qualche citazione/riferimento interessante, certo, ma assolutamente nei limiti di ciò che una persona di discreta cultura poteva conoscere negli anni '80. Io direi, semplicemente, che Sclavi era un bravo affabulatore che sapeva come dare alla storia ritmo e sostanza, o almeno intrattenere, e al contempo presentare una visione abbastanza riconoscibile e personale. Dando anche la sensazione di crederci, per di più. Alla fine il discorso è tutto lì. Godibile, divertente, sostanzioso ecco. Magari a volte un po' sopravvalutato. E con varie debolezze - certi predicozzi dylaniati oggi risultano dei mapazzoni indigeribili - e anche furbate (in che senso quello di "Killer!" è citazionismo "passabile"? E' praticamente la stessa storia di Terminator! Harlan Ellison è riuscito a trascinare James Cameron in tribunale, e a vincere, perché la trama del primo Terminator ricorda vagamente due suoi lavori; provate a immaginare cosa sarebbe successo se Sclavi avesse pubblicato "Killer!" negli Stati Uniti...). Però leggibile e che lasciava qualcosa. Mentre invece io, anche nel migliore dei casi, non riesco a vedere quelle di Recchioni come qualcosa di più che curiosità tutto sommato abbastanza innocue.
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