Apro questo topic sotto l'influenza delle riflessioni poste dal testo "Making of Dylan Dog" (edizioni IF): vero e proprio Zibaldone di pensieri dei vari realizzatori della testata su tutto ciò che ruota attorno al mondo "Dylan Dog".
Seguendo la scia del testo citato sopra vorrei che questo fosse uno zibaldone di pensieri, per quanto discontinui, di un ideale lettore, suddiviso in ambiti tematici e problematiche di ampio respiro riguardanti la serie.
Apro con una prima riflessione...
1) LA MORTE DI DYLAN DOG:
Dylan Dog è un fumetto seriale. Dylan Dog nasce come fumetto dell'orrore. Eppure queste due cose difficilmente riescono ad essere compatibili. L'orrore sostanzialmente si basa sul concetto di morte e nelle sue storie Dyd è continuamente faccia a faccia con la morte altrui o propria. La vita del personaggio, in virtù dei casi di cui volutamente o meno egli si fa carico, è continuamente messa in pericolo...tuttavia egli, in quanto personaggio di un fumetto seriale, per quanto in difficoltà non può mai morire! Soffre della dannazione dell'eternità, dell'eterno ritorno dell'uguale: situazioni stereotipe, stessi personaggi, stessi mostri che si ripresentano di mese in mese nella storia di turno con leggere variazioni e l'esito sostanzialmente è sempre lo stesso: Dylan si trova ad affrontare la morte ed ogni volta riesce a sfuggirle. Insomma, il personaggio è vittima di una sua personalissima "Zona del Crepuscolo".
Come si può ben capire questo risulta essere particolarmente paradossale in un fumetto dell'orrore (cosa che non accade di necessità in altri filoni come il giallo, il western, etc.), dove è quasi un dogma che sia la morte il padrone di casa.
Allora in che modo coniugare le due cose? Come espiare questo vizio di forma o questa colpa originaria?
Semplice, uccidendo il protagonista! Tuttavia il suo è un tipo di morte adattato alle esigenze della serialità, è una morte lenta o più propriamente continua, una morte che si rinnova di mese in mese, come il supplizio di Prometeo: Dylan per essere coerente con le proprie premesse è costretto ad essere ucciso continuamente dai suoi autori, ma su piani meno evidenti e trasversali, potremmo dire metaforici:
1) La punizione o la vendetta: Dylan è continuamente punito dalla morte che non riesce a ghermirlo portandogli via i suoi affetti o le persone che occasionalmete con lui hanno a che fare (di solito i clienti), caso emblematico de "La donna che uccide il passato".
La morte non potendo avere il protagonista si vendica su coloro che lo circondano, logorandolo mese dopo mese e appunto uccidendolo poco alla volta senza mai possederlo e senza mai poterlo possedere completamente.
2) La dimensione "altra": in un ristretto numero di storie il protagonista ha degli alter ego "reali" (dimensionali, onirici..., "Storia di Nessuno") o presunti ("Ti ho visto morire") che muoiono al suo posto. Espediente più efficace forse, ma in ogni caso un palliativo.
3) L' "insondabile": vi è un'altra categoria di storie, quelle forse più difficilmente decifrabili ed inquietanti, in cui il protagonista non è franto in sue proiezioni (appunto gli alter ego di cui sopra) ma dove è egli vittima in prima persona (quale che sia) della sospensione di una storia che lo racconta, che di solito si conclude con la domanda: "Ma Dylan è morto o meno?". Caso di "Macchie solari" e "Ascensore per l'inferno". Come il gatto di Schroedinger, non potendolo analizzare da un sistema sovraordinato, nel'universo narrativo della storia il protagonista è tanto vivo quanto morto...qui la morte vince al 50% in certo senso.
In ogni caso Dylan Dog è un fumetto che racconta la continua sublimazione della morte del protagonista, non potendo prevalere l'uno sull'altro, costitutivamente, nè il protagonista stesso ("proprio") nè l'antagonista o per meglio dire il protagonista "improprio", la morte.
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