vi posto una bella riflessione su Dylan Dog di Roberto Recchioni (pure troppo pesante su se stesso, secondo me), l'autore di John Doe e di Detective Dante, che trovate qui
http://theviciouscabaret.forumcommunity.net/?t=4211766
<blockquote id="quote"><font size="1" face="Verdana, Arial, Helvetica" id="quote">quote:<hr height="1" noshade id="quote"><i>
Con l'occasione della nuova grande ristampa, mi sono riletto Dylan Dog n.1
E mi sono depresso sia per motivi personali che per stretti motivi professionali.
il motivo personale è presto detto: rileggendo il primo numero dell'old boy ho capito ancora meglio quanto il mio stile di scrittura sia strettamente derivativo da quello di Sclavi... e quanto io sia ancora fottutamente lontano dal raggiungerne la qualità.
Sia chiaro:"l'alba dei morti viventi" non è la cosa migliore mai scritta da Sclavi e ha pure alcune sbavature ben evidenti (una incongrua didasclia nella scena della morte dell'anatomo-patologo, l'introduzione d Bloch del tutto ininfluente nella storia, il posticcio espediente della custodia del clarinetto esplosiva)... ma rimane una spanna sopra a tutto quanto io abbia mai scritto.
Rileggendolo ho provato uno di quei sentimenti che mi sono generalemte alieni: l'invidia.
E sia chiaro, io non provo invidia non perché sono una brava persona ma solo perché ho un ego che mi fa pensare di essere uno scrittore di fumetti migliore di tanti (e peggiore solo di alcuni).
Il motivo professionale invece è più complesso.
Si dice spesso che Dylan Dog n.1 sia stato un fumetto innovativo nel panorama del fumetto seriale di allora.
E' vero ma c'è di più.
Dylan Dog n.1 sarebbe un fumetto seriale innovativo anche nel fumetto seriale di oggi.
Rileggetelo.
Sclavi spezza la gabbia, la suddivide e la moltiplica in forme nuove e raramente ripetute.
Sclavia scrive dialoghi citazionisti e referenziali
Sclavi ammicca al lettore, lo soddisfa, lo scontenta, lo porta fuori strada e in terreni inediti e poi lo fa sprofondare fino alle caviglie nel genere più puro.
Scalvi crea un personaggio scostante, arrogantello e surreale e gli fornisce un asistente del tutto disfunzionale alle logiche interne del racconto.
E in tutto questo, si permette pure di sperimentare inquadrature strane e inedite (ancora oggi raramente replicate, se non come plageria di Sclavi stesso), donando al tutto un ritmo incalzante (Dylan n.1 si legge in un lampo rispetto ai Bonelli attuali) e atmosfere incredibilmente evocative.
Nel solo n.1 di DYD ci sono almeno una decina di infrazioni alle regole fumetto seriale bonelliano come ancora oggi è concepito e fuziona meglio della stragrande maggioranza dei fumetti che le seguono come un mantra.
Il fumetto seriale italiano non ha fatto un passo avanti da Dylan in poi... al punto che la labile memoria storica di lettori e critici ha permesso a testate come Napoleone o John Doe di arrogarsi il titolo di fumetti "innovativi".
Innovativi a cosa? Agli ultimi dieci anni-quindici anni? Probabilmente.
Agli ultimi 20? Per nulla.
Dylan era molto ma molto più avanti di noi.
E a rileggerlo oggi, lo è ancora.</i><hr height="1" noshade id="quote"></font id="quote"></blockquote id="quote">
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Negli universi c'è un gran rumore