Color Fest passabile, ma non di più.
S
P
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I
L
E
R
Passaggio per l'infernoIl soggetto è un po' troppo abusato. Forse è colpa mia, che ho letto fumetti e visto film horror a non finire, ma di storie incentrate sull'autostop in cui uno dei due (a volte l'autista, a volte il passeggero) si rivela uno psicotico omicida o giù di lì me ne vengono in mente una dozzina. Tutte migliori di queste.
Il ritmo è buono e la coppia Accatino/Simeoni senza dubbio sa come creare atmosfere adeguate, ma è ASSURDO che Dylan, quando la tipa estrae il cellulare, anzichè interloquire dicendo: "Ma scusa, non avevi detto di non avere il cellulare?!" dia un numero falso!
Anche chi NON ha il cellulare sa che basta la pressione di un tasto per chiamare un numero e scoprire se esiste o meno. Vabbè che Dylan ha capito che la tipa è pazza, ma interloquire l'avrebbe senza dubbio fatta incazzare meno che non dando un numero fasullo.
E poi, il Dylan simil-barbatiano (nel senso peggiore del termine) che con le donne tende a comportarsi da stronzo mi ha stracciato i cosiddetti già da un pezzo ormai!
Il banco dei pegniOrrenda! I riferimenti alla crisi economica attuale servono solo per darsi una patina (fasulla) di impegno sociale. In realtà in questa storia le ragioni per cui i mendicanti sono tali risultano assolutamente secondarie.
I cattivi sembrano i cugini scemi di Cip e Ciop; il Dylan che brucia i risparmi è privo di qualsiasi credibilità; il trucco per sconfiggere gli pseudo-demoni è un banale escamotage; infine, i barboni angelici non sono che macchiette.
Insomma, un disastro sotto tutti i punti di vista. Pure Alessandrini non è a proprio agio, specie per quanto riguarda il volto di Dylan
Luci della ribaltaLa migliore. Medda batte ormai un po' troppo il chiodo sul mondo dei mass-media e la loro intrinseca vuotezza, ma la storia è ben scritta e ben congegnata, certamente superiore alle altre prove recenti delle sceneggiatore.
Dylan ha poco da fare, ma questa storia è volutamente incentrata soprattutto sulla diva. E la risoluzione finale ha una suggestiva ragion d'essere.
Peccato che Di Gennaro risulti troppo rigido e impostato.
Strage di mezzanotteSeguito assolutamente non necessario di una delle prove più modeste di Chiaverotti.
Il soggetto non è che un pretesto per un po' di splatter. La storia di Chiaverotti, per quanto malriuscita, aveva una trama. Qui non c'è neanche quella, solo fragore e strepito che alla resa dei conti significano davvero poco (citazione shakespeariana
).
Anche come semplice omaggio al trash exploitativo degli anni '90, la storia non funziona. I dialoghi sono a dir poco atroci e la loro seriosità insulsa fa venir voglia di fiondare l'albo nella spazzatura.
Piacevoli i disegni e i colori 'irrealistici'.