<i><b>Il vecchio che legge</b></i>:
Altrimenti detto: <i>La prigione di carta</i>.
Celoni non mi piace, ma è un mio problema personale.
Come disegnatore, il suo tratto sovrabbondante mi affatica la vista (le centinaia di rughe sui primi piani di Ozra sono il vero incubo); come scrittore, il suo stile sovrabbondante mi affatica la concentrazione: Dylan in ogni vignetta si premura di spiegare pedissequamente ciò che accade nella vignetta, le lambiccate disgressioni poetiche (genuine o compiaciute che siano), per una personalissima questione di sensibilità, mi annoiano a morte, il continuo gioco dei rimandi letterari rende il piatto eccessivamente speziato, il repertorio immaginifico è abusato e stantio (il borgo medievale, la bambina misteriosa, il treno metaforico...). Persino la sensibilità propugnata da Dylan in questa storia non solo non mi prende, ma addirittura mi irrita (per non parlare dell'afflizione di Dylan seguita alla prima morte di Ozra, che nel volgere di una vignetta si tramuta repentinamente in stupore per il ritrovarsi nuovamente a bordo del treno... 'nsomma...).
E io che mi lamentavo dello stile retorico di Enna!
E poi, per favore, in Bonelli farei approvare un veto sui rimandi ai classici dell'infanzia: e basta con Dorothy, Alice, Pippi Calzelunghe, Peter Pan e tutti questi infelici bambini che non riescono a crescere e a trovare un posto nella realtà. Ma più che altro perché si rende loro un torto! Tutte queste opere letterarie sono a vario titolo "formative", nel senso che alla fine del libro, dopo aver vissuto avventure strampalate, i bambini esorcizzano le proprie fantasie infantili (avendo dato loro uno sfogo completo e incondizionato) e sono pronti ad affrontare la vita. Invece sembra che ormai queste stesse opere vengano usate appunto come alibi per rendersi impermeabili alla realtà, come dei ghetti in cui isolarsi da essa, e il senso ne viene completamente frainteso!
Non credo sia un caso che alla fine tutti vogliano poi fuggire da Oz, dal paese delle meraviglie o dall'isola che non c'è, no?
Comunque ho apprezzato l'idea ossessiva della ricorsività della morte dell'uomo in diversi contesti e in parte l'ultimo dialogo fra Dylan e Ozra su <i>Il meraviglioso mago di Oz</i> (il parallelismo fra Ozra e il mago e fra Vittoria e Dorothy).
Non ho letto gli altri commenti qundi magari dico cose già dette:
ovviamente il nome Ozrabaum è composto da Oz e da Baum, quest'ultimo cognome di Lyman Frank Baum, autore del libro;
a pag. 60 c'è un chiaro rimando all'artista Peter Coffin.
<i><b>Blatte</b></i>:
Esattamente la storia breve che mi aspetterei da un gigante. Divertente, modesta, onesta, <i>friccicarella</i>. Insomma, un bell'intermezzo.
Poi i disegni di Saudelli mi piacciono moltissimo, il Groucho dormiente con ciglia lunghe mi ha fatto pensare a un attore da film porno anni '70. [|)]
Unica nota veramente stonata (ai testi) è la battuta di Groucho sulla suocera (con la cui lingua tagliente si potrebbe squarciare il velo di plastica che avvolge la casa): magari può sembrare una sciocchezza, ma una battuta come quella è completamente priva di senso, e non <i>non-sense</i> come ci si aspetterebbe da Groucho.
<i><b>Tueentoun</b></i>:
Per questa storia ho dovuto ricredermi: ho trovato l'inizio manualistico e scarsamente interessante (mi sembra di aver letto in altri commenti che ci fosse una tensione stellare, una <i>suspence</i> da cardiopalmo... invece a me ha lasciato del tutto freddo), lo svolgimento della vicenda meccanico (l'ennesimo rompicapo barbatiano: per Dylan le cose sembrano facili salvo poi scoprire che c'è un intoppo anche nelle cose più ovvie, come identificare la fisionomia di una persona... come potrà Dylan scovare il più uguale fra gli uguali?). Mentre invece quello che mi ha davvero preso è il finale, quello che solitamente in altre storie mi delude: ero curioso di sapere dove sarebbe andata a parare l'autrice per spiegare l'uguaglianza dei cittadini o il loro numero invariabile, già immaginando il peggio... e pur tuttavia sono rimasto colpito. Una bella spiegazione, semplice, credibile, coinvolgente, senza che in bocca resti l'amaro delle parole: "<i>Ah, 'mbè, era questa la magagna?</i>". A prescindere da questo, si vede che Barbato <b>sa</b> scrivere e <b>sa</b> come si scrivono sceneggiature.
Forse ho un po' storto il naso per il Larry focomelico, per il quale il pensiero non può non volare a Ghor, oppure per l'insistito gioco dei ruoli fra sesso maschile e sesso femminile, o altre piccole minuzie di questo tipo, ma in fin dei conti posso dirmi soddisfatto.
Ah, sì: Molly Jensen è il nome del personaggio interpretato da Demi Moore nel film <i>Ghost</i> (mi scuso ancora se dico cose già dette, non avendo letto i commenti altrui).
<i><b>Per una rosa</b></i>:
<i>Una rosa è una rosa è una rosa</i>
...Che poi, in fondo, sono un cuor tenero...
Anche qui, storia riscattata dal finale (che in una storia breve come questa ha molto più peso, essendo anche quantitativamente, per numero di pagine dedicatogli, più siginificativo): non che la prima parte fosse "brutta", ma effettivamente era un <i>Piccolo Principe</i> tradotto <i>Dylan Dog</i>, niente di particolamente incisivo o interessante. E poi c'è la rilettura della vicenda alla luce delle ultime pagine: anche qui, niente di particolarmente pirotecnico, ma l'ho trovato efficace (per un po' mi sono tornati in mente i grandi <i>topoi</i> stabiliti da Chiaverotti nelle sue storie, complici anche i disegni di Dall'Agnol). Una storia semplice (non particolarmente brillante nella scrittura), che cita un classico senza rovinarlo e senza rovinare se stessa, un tocco di sentimento, i disegni di Dall'Agnol sempre più schizofrenici (magari avrei dato solo maggior risalto grafico proprio alla rosa, che in alcune vignette è giusto una macchia bianca contornata di nero!). Insomma, anche qui, una storia normale di quel normale piacevole a leggersi.
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Una piacevole pubblicazione annuale, ma non mi sbilancio nella definizione del "miracolo editoriale" che invece qualcuno sembra avervi letto.
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