SPOILER!
A mio avviso le storie non sono sempre e comunque belle o brutte in sé, ma la loro qualità dipende dalla sensibilità del fruitore che le accosta. Mi avventurerò quindi in una sorta di improbabile recensione "costruttivista" o "post-strutturalista", procedendo ad una genealogia [alla Foucault] o una fenomenologia [alla Merleau-Ponty] del lettore, non tanto per fare il fenomeno della situazione, quanto perché, per una storia come questa, può essere particolarmente interessante. La spaccatura fra le opinioni del forum è infatti evidente, e il motivo [come accadeva per il #307] è precisamente il fatto che i pro e i contro della narrazione coincidono [ma non del tutto, come preciserò più avanti] e spetta al lettore distinguerli e adottare l'uno o l'altro per maturare un giudizio personale.
La storia può infatti essere accolta, a mio avviso, da due punti di vista, due facce della stessa medaglia, che poi appunto sono le medesime, filtrate attraverso lenti diverse.
Il primo punto di vista, quello dei delusi, fissa una sorta di record nella storia di questo fumetto, perché per apprezzare il contenuto dell'albo è sufficiente fermarsi al titolo: Leggende urbane. Basta, finito, tutto qua. Dopo quella mezz'oretta di necessario assestamento per capire il perché dell'"urbano" al posto del "metropolitano", sarà chiaro che l'albo non è niente più che un'esposizione museale delle principali leggende urbane/metropolitane in circolazione. O meglio, in circolazione dalle parti di Di Gregorio... Non frequento granché le aree metropolitane, ma alcuni di questi miti popolari mi sono giunti del tutto nuovi: il puccioso animaletto assassino liofilizzato, lo sciame di vespe nel frigorifero [?], il rapimento delle clienti per la tratta clandestina delle bianche [??? Che, davero?], ma anche quella del motociclista, non doveva prevedere la sua totale decapitazione invece che la semplice apertura craniale tipo Ovetto Kinder? Mah, comunque ripeto, questo è un problema mio e delle mie mancate frequentazioni. Questo turbinoso valzer di eventi, alla fin fine, non va a parare da nessuna parte, perché la spiegazione non c'è. O meglio, anche la non-spiegazione risulta poco chiara: la sensazione è che Di Gregorio abbia tentato di abbozzare una "morale" [condensata nella prima vignetta, nelle ultime e in qualche passo della storia], ma in modo confusionario e criptico. Di certo non aiuta neanche Cossu: personalmente non lo disprezzo a prescindere, in passato mi piacque anche molto, ma qui tira via che è un piacere, e alcuni passi sono letteralmente inguardabili. Il suo stile poi appiattisce tutto, non giovando al dinamismo della sceneggiatura.
Il secondo punto di vista, quello dei soddisfatti, corrisponde a quanti apprezzano le "derive" di certa parte dell'arte e della letteratura moderna e contemporanea: scardinamento totale della struttura narrativa, alla ricerca della pura estetizzazione letteraria. Insomma, qui non importa "cosa" si racconta [in questo caso era sufficiente fermarsi al titolo], ma "come", e questo "come" dev'essere quantomeno ironico, frizzante, piacevole, divertente, originale. I fili rossi della narrazione possono anche venire a mancare, perché viene a mancare di riflesso il bisogno di intrecciarli alla fine in un ordito compiuto e sensato. In quest'ottica le timide vignette finali non stanno a significare nulla di particolare, se non che le storie rimangono, mentre cambiano di volta in volta i modi e i mezzi materiali per raccontarle: dal computer, alla macchina da scrivere, al pennino dylandoghiano, in un gioco di specchi, o in un gioco di "mani che disegnano se stesse" [o meglio, scrivono] escheriano che farà furore fra gli aficionados del non-sense metanarrativo. Anche quest'ultima è un'interpretazione soggettiva, il che mette a fuoco il nucleo di questo secondo punto di vista: le storie come queste, che di fatto non raccontano nulla, ma mostrano tipo esposizione artistica, sono "difficili" e al tempo stesso "facili". Difficili perché sta all'inventiva dell'autore non renderle mai noiose con situazioni ed eventi sempre accattivanti; facili perché sta all'inventiva del lettore colmare i vuoti [più o meno intenzionali] di significato con la sua fantasia e immaginazione. Parlando di estetica [o meglio, di Estetica] è inevitabile riferirsi ancora una volta al disegnatore: viene quasi naturale affidare un albo [dis]incantato e fiabesco a lui, come già successo in passato, ma duole constatare nuovamente la sua inadeguatezza.
Tirando le somme in una conclusione "tassonomica" puramente ipotetica: un lettore accorto, analitico, logico e razionale tenderà a vedere in quest'albo uno scarabocchio sconclusionato, mentre un lettore creativo, intraprendente e fantasioso inneggerà alle atmosfere dei primi albi. Posto che Dopo mezzanotte e Golconda sono innavicinabili, non [solo] per qualità, ma per differenze evidenti fra le strutture narrative. Non c'entrano proprio nulla con questo Leggende urbane. Nessuna delle due visioni, ovviamente, è quella giusta o quella preferibile, in accordo con il relativismo interpretativo che una storia come questa suggerisce.
Dicevo all'inizio, però, che alcuni pro e contro mi paiono francamente oggettivi e sganciati dalla personalità del lettore.
PRO Il pro di questa vicenda ha un nome e un [gran bel] corpo, e si tratta di Charlotte. Raramente negli ultimi tempi mi sono imbattuto in una "fiamma" così affascinante e carismatica; certo, lei è aiutata dalle trame che nasconde e che di fatto la vedono elemento centrale, ma di fatto la sua gestione alla Beatrice dantesca nel paradiso/inferno delle leggende urbane mi è parsa coerente e sempre interessante. Anche Bloch mi è piaciuto, e oltretutto incarna anche lui un ruolo chiave: quello che rifiuta e scarta a prescindere le voci e le chiacchiere popolari. È una figura essenziale per completare il quadro, in quanto Dylan, come nota la stessa Charlotte [e qui rientra il suo utilizzo intelligente] talvolta è portato ad abboccare per sua natura.
CONTRO Un contro ad esempio, e purtroppo, è la vignetta d'apertura. Se mi mostri un tizio che scrive è ovvio che vado a pensare ad una vicenda partorita dalla fantasia di qualcuno, il che svela subito le carte e il cerchio più grande fra quelli concentrici, ma sottrae parte della tensione alla lettura. L'altra mancanza clamorosa è Groucho, che qui avrebbe potuto addirittura innalzare il livello qualitativo globale. Le scene con il coccodrillo albino, e in generale con tutti i personaggi pittoreschi dell'albo, erano praticamente già scritte. Forse la carenza più grave. Il terzo difetto, come evidente da quanto scritto sopra, è Cossu. Peccato.
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