<blockquote id="quote"><font size="1" face="Verdana, Arial, Helvetica" id="quote">quote:<hr height="1" noshade id="quote">joe montero
Dylaniato in putrefazione
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Proprio non mi è piaciuta. Mi sembra più un tentativo manieristico un poco forzato di emulare la filosofia dei primi lavori che un testo nato dalla voglia di raccontarlo. E' questo il fattore che rende un poco triste l'ultima produzione dylaniata: sembra quasi si debba elogiare chi sbaglia meno. Non c'è più spontaneità, solo molti critici severi che pretendono che Dylan torni a dire pensare fare come faceva un tempo. Così nascono dei fumetti di superficie, privi di reali inquietudini. Degli esercizi di stile, più o meno riusciti, ma degli esercizi di stile. I soggetti appaiono inconsistenti, e tale inconsistenza non è da imputare a uno scarso valore ad essi intrinseco ma al fatto che sono sorretti da sceneggiature svolgliate e già viste. Manca la tensione narrativa degli esordi, e il fatto che questo albo nelle intenzioni cerchi di recupare atmosfere alla "uomini perduti" mette ancora più in risalto la cosa.
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Triste ma vero. Joe fa un?analisi spietata ma veritiera del periodo che sta passando la testata da alcuni anni, ormai.
Ma?tornando all?albo, anzi: andandoci.
Questo di Joe è un pensiero che condivido sì, ma fino a un certo punto: non posso condannare una storia ? come questa - ove l?impegno dello sceneggiatore nel voler creare un qualcosa di positivo, anche solo di diverso dal recente passato è palese (mi sembra quasi impossibile negare ciò):gli sforzi espressi da ambo gli autori (Freghieri poi questo mese è superlativo, magistrale) nella rappresentazione delle atmosfere, delle inquietudini, dei colpi ad effetto dovrebbero essere premiati almeno con una sufficienza. Se poi Joe tu mi dici che questo è ?un tentativo manieristico di emulare la filosofia (e non solo aggiungo io) dei primi lavori??ben venga! ti rispondo; sono d?accordo con te ma non mi metto certo le mani nei capelli se questo sceneggiatore si mette a scimmiottare Sclavi sempre più. Insomma, dopo il nulla e il vuoto a cui troppo spesso ho assistito in questi anni, Enna perlomeno FA QUALCOSA per uscire da questa abulia narrativa, per distaccarsi dai mostri messi lì senza un senso da autori ormai stanchissimi di scrivere per Dylan, e lo sta facendo ogni volta un po? meglio, in ogni storia si sta migliorando sempre più, l?autore sta acquisendo sempre maggior convinzione nei suoi lavori
C?è da dire tralaltro che noi del forum siamo anche piuttosto esigenti in fatto di qualità, penso molto più del lettore che vive al di fuori della rete.
E allora io dico:accettabile. Ma con alcune riserve perché poteva raggiungere livelli decisamente più alti.
Buona prova di sceneggiatura: Enna convince, e come ho già detto è quello tra tutti che rimane più legato a certe atmosfere malinconiche - e non solo - del passato remoto della serie. Ma non convince solo per quello.
Ho notato come sia difficile parlare di questo albo senza fare paragoni con storie precedenti. Non mi asterrò dal farlo.
E allora: lasciatosi presto alle spalle quell'incubo cartaceo di "Jenny Dentiverdi", Enna si riscatta decisamente con testi molto più maturi e con dialoghi e trovate accattivanti (la scena del metronomo che prende vita è degna di lode, così come quella dell?alluce dell?impiccata che batte sul vetro).
Ma anche qui come in "Anima d'acciaio" il soggetto lascia molto (TROPPO!) a desiderare per semplicità ED INCONSISTENZA (così come il finale, ma - attenzione!! - non nelle didascalie delle ultime pagine dove lo sceneggiatore dimostra nuovamente di saper muovere i suoi fili come farebbe uno scrittore affermato)..E? chiaro che così facendo il rischio che corre Enna agli occhi di molti è quello di prendersi troppo sul serio con storie, come questa, che possono benissimo essere considerate veri e propri esercizi di stile
?e soprattutto l?andare là?il ritornare là?ai primi numeri, dove nessuno aveva ancora osato andare a prendere a piene mani?avre il coraggio di riproporre quella poetica di certe tematiche?
C?è da dire a difesa dell?autore che questo suo stile narrativo faceva capolino già dalla sua prima storia ?L?uomo di plastica? (chi si ricorda il manichino che corre in mezzo ai campi di girasole e per respirare si toglie la maschera?)..quindi la coerenza e la costanza, senonaltro, sono dalla sua. Finchè tutto ciò gli riesce e ha un senso proporlo in certi contesti, non mi dispero affatto? né mi arrabbio perché non dovrebbe osare tanto(non sto rispondendo a Joe Montero ora#61514;, per ovviare a malintesi). L?altro rischio nel quale l?autore può incappare è quello di annoiare, tutto qui: non sempre, ma un po? mi sono annoiato leggendo ?Il guardiano del faro?. Penso di essere stato chiaro.
Concludo: riuscita a metà, così come la precedente: mi auguro che in futuro l'autore riesca a sviluppare in maniera un pò più elaborata le sue trame, non chiedo poi molto: se ci riuscirà tanto di guadagnato per lui.
Questo mese è stato coraggioso (per quasi tutta la storia Dylan o è nel faro o nel paese), non lo nego però abbiamo già avuto "La casa degli uomini perduti" e "Lo specchio dell'anima" che, in quanto a protagonista disperato ed interni che variano poco, non li metterei certo dietro a questo albo.. e soprattutto ? intendevo dire - abbiamo già avuto due soggetti di questo tipo.
Non importa, un premio al coraggio allora, dai
Il Dylan della penultima vignetta di pag.35 mi ha gelato il sangue?
Ora potete andare a fare il bagno.
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E poi sospeso tra i vostri "Come stai?", meravigliato da luoghi meno comuni e più feroci,
tipo "Come ti senti amico... amico fragile... se vuoi potrò occuparmi un'ora al mese di te"
F. De Andrè - Amico fragile
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