Come già notato, qui Chiaverotti realizza in pratica la sua "Dopo mezzanotte": una ronde notturna fitta di omicidi e follie assortite (incluso un Groucho monologhista che arriva -al netto del sonnambulismo- dall'esordio di Venturi, "L'uomo che visse due volte"), che ambisce dichiaratamente allo status di cult.
A impedirgli di raggiungere tale ambizione, a dispetto di una buona quantità di immagini memorabili (la vecchia senza gambe che vomita sangue, l'Arpia che afferra in volo lo Xenomorfo), è proprio il suo tono serioso, dolente, forzatamente poetico (le canzoncine sulla morte e sul destino speravamo di essercele lasciate alle spalle, ormai), diametralmente opposto all'allegra mattanza surrealista di albi come "La clessidra di pietra" e "Armageddon!", che rimangono i capolavori del Chiaverotti più libero e delirante.
Le atmosfere sono piuttosto simili a quelle di "Cronache di straordinaria follia", uscito pochi mesi prima sul quarto Dylandogone, a opera degli stessi autori -come quella, peraltro, anche questa storia mi ricorda che, per quanto bravo, il miglior Venturi (qui al suo commiato dalla serie regolare) resta comunque quello di "L'uomo che visse due volte".
_________________ Non giudicare gli uomini sulla base delle loro opinioni, ma da ciò che le opinioni possono fare di loro. (Georg Christoph Lichtenberg)
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