"Mater Morbi" è uno dei migliori albi della serie? Non so, di sicuro è una storia più che eccellente. Il soggetto è forte e la sceneggiatura colpisce subito l'attenzione del lettore. Roberto Recchioni, che tanto avevo criticato per il deludente "Il modulo A38", qui mi ha stupito in positivo. Un po' come aveva fatto con la storia breve del Color Fest "Fuori tempo massimo". Nell'Horror Club veniamo informati della situazione di diversamente abile dell'autore. C'è molto di autobiografico in "Mater Morbi".
SPOILER
Il tema della malattia non è nuovo all'universo Dylan. Oltre al capolavoro "Marty" (che entra nel mondo della malattia facendoci innamorare di un anziano solitario), c'era stata Bree malata di Aids in "Oltre la morte". E che dire della storia breve di qualche Gigante fa "Febbre di ghiaccio", "L'ultimo uomo sulla terra" o "Il sorriso dell'oscura signora"? Il mondo degli ospedali ce lo siamo trovato di fronte negli anni '80 con "Tra la vita e la morte". A proposito: mi piacerebbe rivedere il dottor Hicks! Malattie, ospedali, medici cinici sono stati pane per i denti di Dylan. Qui però il centro della storia è la CURA. Abbiamo un cattivo nuovo di zecca. Mater Morbi è forse la cattiva più odiata. Perché la malattia è ciò che nessuno cerca. Il Dylan Dog di Recchioni è visto da molti come diverso da quello Sclaviano o degli altri autori. E' normale che ogni sceneggiatore dia una sua impronta al protagonista. Il Dylan recchioniano ha un briciolo di cattiveria che agli altri manca. Meno buonista, più deciso a prendere ciò che vuole o a rinunciare a ciò di cui farebbe volentieri a meno. Ha più "palle", insomma. Lo si nota, più che nelle risposte a Mater Morbi o al suo rapporto sessuale con lei, al dialogo con la mamma di Vincent. Questo ragazzino, che fisicamente dimostra molti meno anni di 15 ma mentalmente molti di più, è una sorta di Virgilio della sofferenza. Ha accettato il suo male ed è sereno. Perché sa che turbarsi non servirebbe a nulla. Lo scrive una persona sana, quindi qualcuno potrebbe scrivere "facile a dirsi". Vero. A Vincent si oppone Dylan. Lui vuole uscirne, anche senza capire cos'ha. Si fida del dottor Faber, poi quando capisce la realtà dei fatti insulta. Lui guarisce. Era stata più toccante la fine serana, tra sofferenze atroci, di Marty. L'albero delle pene è inquietante e ricorda quello di "Totentaz". Anche Vincent ha tratti in comune con il compagno di liceo di Dylan di quella storia. Carnevale si adatta a quest'ottima storia. Il Dylan della seconda vignetta di pag. 41 è l'immagine della sofferenza. L'infermiera tabagista, i portantini dai volti orrendi, il dottor Vonnegut alias Klaus Kinski (cattivo per eccellenza di tanti film cult) sono rappresentati con maestria. E infine Mater Morbi. Lei è il sadismo dalle fattezze umane. Io non sono un fan delle dark lady, quindi potrei snocciolare tante donne dell'universo dylandoghiano che preferisco, però le riconsco la sua capacità di alimentatrice di male in Dylan. Le citazioni colpiscono. Oltre alle tante avventure passate di Dylan che possono venire alla mente, ci sono Fabrizio de André (morto proprio di un male incurabile), Carver (Raymond? Morto anch'egli di metastasi al cervello), Vonnegut (autore più legato al male interiore di vivere), Harker (in Nosferatu protagonista contro il vampiro Kinski). Dylan Dog è stato spesso impegnato socialmente. Qui il tema di fondo è il testamento biologico. Non tanto l'eutanasia.Il fatto che politici bigotti si siano scagliati contro "Mater Morbi" è un segnale di speranza. In primis, ci fa capire che Recchioni ha colpito nel segno. In secondo luogo, significa che Dylan Dog suscita ancora discussioni, un po' come era successo con "Le morti bianche" del Maxi o come succedeva con più frequenza nella prima metà degli anni '90. Stano ci regala una delle più belle copertine della serie. L'albero è inquietante. La pioggia è un'aggiunta azzeccata. Le gocce d'acqua sono un ulteriore sintomo del male e della debolezza dell'uomo. E' una copertina fredda, di quelle che danno l'impressione di essere deboli di fronte a un mostro che non conosciamo.
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