L'ordine delle storie crea, forse involontariamente, una dialettica tra una prima parte dedicata alla tradizione (vampiri, lupi mannari) e una seconda incentrata sulla modernità e la tecnologia (il mondo della televisione e l'universo dei giochi per computer). Per quanto mi riguarda, vince nettamente la prima parte -e non certo per una questione di luddismo, ma più banalmente perché le storie sono migliori.
Nel caso delle storie brevi, per la verità, è anche difficile fare un paragone: "Il mistero dell'Isola d'Yd" è dichiaratamente un omaggio e un divertissement, e se anche il suo unico scopo fosse stato quello di regalarci altre sedici pagine di Riboldi questo basterebbe a giustificarne l'esistenza. "Sangue di lupo", però, è un altro piccolo gioiello breve di Ruju, che vedo tranquillamente al livello di "Il vicino di casa" (e forse perfino superiore, nella misura in cui è una "vera" storia di Dylan Dog), con uno Stano in mezzatinta così grandioso che anch'io mi sono ritrovato a indugiare per minuti interi sulle singole tavole.
Quanto alle due lunghe, la prima sovrasta la seconda su tutta la linea. Un po' per meriti propri, un po' perché "Morte di una stella" è davvero fiacca: una storia senza guizzi e molto parlata (anche per colpa della "presenza" di Gail, che a fini narrativi non mi pare poi così utile), in cui Mignacco sceglie l'ambiente televisivo per infilarci con maggior comodità la sua canonica critica al sensazionalismo e al cinismo dei media, per fortuna in maniera un po' meno grossolana di quanto aveva fatto in "Il mondo perduto" -certo, se i termini di paragone devono essere questi, è chiaro che non c'è molto da salvare... La scialbezza si propaga, o forse in parte ha origine, nei disegni di Freghieri, che a tratti sembrano così essenziali e opachi da apparire quasi svogliati.
"Il masticatore di sudari" si candida a essere il miglior lascito di Manfredi su Dylan Dog: davvero un peccato che lo sceneggiatore non sia riuscito a tagliare tre-quattro pagine e a conservarsele per dare più respiro al secondo finale, che dopo la lunga scena dell'assedio risulta terribilmente frettoloso e anticlimatico. Ma nel complesso è una storia valida e con una solida atmosfera, aiutata ovviamente dai disegni di un Roi in grandissimo spolvero, e costellata di varie finezze narrative: l'incipit storico che sfuma inavvertibilmente nel presente, il temerario blood play erotico alle pagine 39-40, la molotov preparata dagli assediati (possibile strizzata d'occhio malandrina al milieu culturale in cui Manfredi emerse e si fece conoscere, negli anni Settanta), il modo in cui la vampirizzazione di Jeffrey (pagina 64) viene rappresentata facendo emergere elegantemente i toni omoerotici del rapporto tra lui e Hogg. E finalmente Manfredi trova anche i tempi e i toni giusti per Groucho, regalandogli alcune belle battute e in particolare una, a pagina 18, decisamente arguta, sulle minoranze perseguitate che si sono rifugiate nel mondo dello spettacolo (arguta e ambigua: potrebbe riferirsi ai gay, come agli ebrei).
_________________ Non giudicare gli uomini sulla base delle loro opinioni, ma da ciò che le opinioni possono fare di loro. (Georg Christoph Lichtenberg)
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