Qualcuno ha citato Chiaverotti, e in effetti qui siamo dalle parti di "Il buio" -un ricordo traumatico infantile rimosso, una creatura evocata dallo sconvolgimento emotivo della protagonista (lì provocato dalla paura del buio, qui semplicemente dall'odio)... diciamo che l'Haamu è la versione esotica di Mana Cerace.
La conclusione, con l'eroe che salva la fanciulla in pericolo all'ultimo momento, è sicuramente scontata, ma se non altro questa volta Manfredi si lascia un po' di spazio in più per il secondo finale -però, al contrario di quanto era solito fare Chiaverotti, decide di chiudere prima il versante soprannaturale/orrifico della vicenda e poi quello "realistico"/giallo, creando comunque un effetto a mio parere anticlimatico.
Siniscalchi se la cava come sempre bene con i mostri, e Manfredi dimostra di aver studiato sia la mitologia, sia i meccanismi narrativi dylaniani: anche se poi, come accade quasi sempre nelle sue storie, il mestiere può nascondere solo fino a un certo punto la carenza di ispirazione, freschezza,
passione -un'altra conferma, dunque, dell'imperfetta e intermittente sintonia tra l'autore e lo spirito del genere, ancor prima che del personaggio.