<b>Bruno Enna</b>
Ha stoffa e ha le idee chiare, deve solo affilare la lama. Nelle sue storie ci ho visto sempre un gran talento visivo, la capacità di raccontare storie per immagini, "Il guardiano del faro" in primis, ma anche la non ancora ricordata "Anima d'acciaio". Il suo grandissimo difetto è il far trasparire una visione binaria e "semplicistica" delle situazioni raccontate. Da una parte ci sono i buoni, dall'altra i cattivi; da una parte chi "vive" pienamente, dall'altra chi "muore" lentamente; e così via. Il suo grande difetto, derivante dal primo, è una retorica condotta fino alle sue estreme conseguenze (esempio: il monologo di Bloch sulla luce domenicale in "Vite in gioco").
<b>Giancarlo Marzano</b>
Come già aveva scritto Triss da qualche parte, fra gli emergenti è quello che scrive peggio, proprio a livello tecnico. Secondo me ha talento nella scelta della storia giusta/azzeccata da raccontare, solo che poi la si sciupa nell'atto stesso di raccontarla. Marzano mira in alto, ci prova, ci tenta, ma non ci arriva. Inoltre ha talento nel ricreare atmosfere, però non ha attenzione per i dettagli.
<b>Michele Masiero</b>
Masiero è imperscrutabile, non saprei bene come definirlo. E' discontinuo, ma non nel complesso e nella successione delle sue storie: anche proprio all'interno delle singole storie. A volte sembra aver colto il punto, poi c'è un giro di pagina e ti cascano le braccia. Poi si risolleva e poi ricade. Viaggia a velocità incostanti. Ha compreso e introiettato un background di fondo della testata, ma lo utilizza in modo spersonalizzato, poco originale. E' una riproposizione (per quanto consapevole), non una riattualizzazione.
<b>Giovanni Di Gregorio</b>
Ha classe e raffinatezza, che però in alcuni casi diventano solo una posa estetica. Ha un suo personalissimo modo di intendere la testata e va per la sua strada, ambiguamente. Inoltre alcune contorsioni logiche o trovate sono fra il geniale e il cialtronesco, sicuramente bizzarre. Può ambire a buoni risultati e anche a qualcosa in più, però deve sporcarsi le mani di sangue e sofferenze. Meno neuronale e più ormonale. Comunque secondo me uno che può costituire una valida alternativa ed un punto di vista interessante, di quelli che non si "appiattiscono".
<b>Alessandro Bilotta</b>
Non faccio testo, l'ho amato sin da "Cuore di zombie". L'unico con Recchioni che allo stato attuale delle cose potrà scrivere il numero 300. Dal mio punto di vista non gli manca davvero nulla, però bisogna vedere in che modo padroneggia i formati standard da 94 pagine (o più). Unico difetto che ho riscontrato in entrambe le sue prove brevi per Dylan Dog è una eccessiva velocità di alcuni passaggi, una sorta di piccolissimi salti logici che lasciano sottintese o poco chiare alcune situazioni. E poi stravedo per il modo in cui sono scritti i suoi personaggi femminili. [;)]
<b>Giovanni Gualdoni</b>
Su Gualdoni non mi esprimo, però mi dice molto poco. Non che scriva male o che tradisca lo spirito della testata o che non abbia compreso il personaggio, ma... su di lui per ora sospendo il giudizio.
<b>Roberto Recchioni</b>
Vale quanto detto per Bilotta: l'unico che può prendere fra le mani la sceneggiatura del 300. Diciamo che entrambi sono complementari e si compensano: l'uno ha in maggiore misura l'eleganza, l'altro la verve. Uno è armonia di accordi, l'altro è ritmo. Se venissero uniti, uscirebbe fuori il tanto sbandierato e plurinominato Sclavi. Di sicuro entrambi hanno molto molto talento. L'unico difetto di Recchioni è che soffre di "Alpacinianesimo": così come Al Pacino, qualsiasi ruolo da recitare gli venga assegnato, interpreta sempre e solo Al Pacino, allo stesso modo Recchioni scrive Recchioni. Se fosse in grado di emanciparsi un po' di più dal proprio stile così caratteristico, forse non sarebbe un male.
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