Comunque per chi non potesse connettersi a Facebook riporto qui sotto l'intero post di Bilotta (contenuto integrale della prefazione al volume ristampa il Pianeta dei Morti).
Chi non ha mai puntato una pistola contro il migliore amico?
Il mio alle scuole medie si chiamava Fabrizio Rocci. Durante una lezione, di punto in bianco mi ha chiesto: hai mai letto Dylan Dog?
Presto viene a trovarci una consapevolezza che teniamo segreta per pudore o per timore, o perché siamo convinti che il mondo degli adulti e quello dei piccoli non abbiano nulla a che spartire e di giorno s’incontrino solo per caso. Le prime domande sui grandi temi della vita sono questa consapevolezza e dimentichiamo in fretta che arrivi in modo così precoce, come quando mio nipote a quattro anni si chiedeva dove fosse prima di nascere. Alle scuole medie ero già immerso in una privatissima weltanschauung, che credevo solo mia proprio perché non si condivide. Dylan Dog è stato il fumetto perfetto perché si prestava a una lettura di semplice evasione e allo stesso tempo a una più profonda ed esistenziale. Era quel luogo di incontro dove parlare di certi temi innominabili e dove avere il coraggio di lasciarsi andare a certe paure.
Comunque non avevo mai sentito nominare Dylan Dog prima che me lo chiedesse il mio migliore amico. Con Fabrizio Rocci condividevamo la passione per i libri, i fumetti, provavamo a scrivere e disegnare delle storie sui quaderni di scuola, avevamo così tanti interessi che ricordo che la mattina, da bambino, entrare in classe era ogni giorno una sorpresa. Mi aveva insegnato a disegnare magliette nere sui seni nudi delle donne di Dylan, avevamo paura che i genitori ci proibissero di leggerlo, la nostra esperienza non era molto differente da quella di Ricky di Caccia alle streghe. I genitori di Fabrizio soprattutto non glielo avrebbero mai permesso. E gli Inquisitori non hanno tardato a farsi sentire. Una mattina il mio compagno di banco non c’era più, aveva scelto di andarsi a sedere da qualche altra parte, mi aspettava solo per fare uso di tutte le brutte parole che conoscevamo, per accusarmi di averlo distratto e di avergli fatto perdere tempo. La professoressa di matematica si era lamentata con i genitori di quello che facevamo in classe e loro lo avevano sottoposto alla Cura Ludovico. Bisogna dire che il Rocci sapeva mantenere le promesse, era il primo anno delle medie e da allora non mi ha mai più parlato.
Chi non ha mai puntato una pistola contro il padre? Quelli di noi che lo hanno fatto, si sono in parte salvati.
Nel frattempo Dylan Dog inventava il dubbio. Le architetture che Tiziano Sclavi congegnava per le proprie storie costringevano il lettore a un impegno attivo, a nuovi sforzi interpretativi e soprattutto a lasciare ogni certezza alla prima pagina della storia. Ogni episodio ricostruiva il cammino dell’essere umano in una realtà senza punti fermi, una vita in bilico tra sogno e veglia, quindi un costante senso di angoscia di cui era vittima inerme Dylan stesso insieme al lettore. Sapeva porre domande, senza dare risposte, faceva proprio il modo di ragionare dei grandi pensatori a cui sono ostili gli animi volgari in cerca di rassicurazioni, spiegazioni o addirittura indicazioni. In una lettera che gli ho inviato, scrivevo “Caro Dylan, nella naturale assenza di risposte, nell’umano conseguente sconforto, lei ha dato forma a se stesso continuando a ripetersi quelle domande sapendo che questo non avrebbe avuto esito, indipendentemente da questo, portando avanti un’indagine senza approdo”.
I lettori considerati più superficiali ripetono il luogo comune che Dylan Dog è i primi 100 numeri. Io che voglio essere più specifico dico che i numeri sono 69, più 7 storie speciali, 7 racconti brevi, 2 storie per almanacco e 2 racconti brevi di Groucho. Infatti alla fine del sessantanovesimo numero Dylan muore.
Si potrebbe immaginare che Il Pianeta dei Morti sia il racconto di quell’indagatore dell’incubo lasciato con il numero 69 e ritrovato con qualche anno in più. Potrebbe essere d’effetto per quelli che lo leggevano allora che sono invecchiati insieme a lui, come me, potrebbe disorientare chi lo incontra adesso e si ritrova a sentire che Dylan Dog ha un passato. Perché il passato e il tempo sono un lusso che a un personaggio dei fumetti è concesso di rado.
Il Pianeta dei Morti ha inizio cronologicamente dal primo racconto di questo volume. Dylan Dog e Groucho hanno quindici anni in più e sembra mancargli lo smalto di un tempo, qualcosa è andata male negli ultimi tempi. La considero l’ultima storia dell’indagatore dell’incubo che conoscevamo perché quello che entra a stravolgere la pagina è un’epidemia peggiore di quella che si racconta, è la realtà. Non riuscire a pagare le bollette si trasforma in povertà, la morte esiste davvero, l’incubo da indagare è quello di un dolore reale e quindi terribilmente banale. Ma, soprattutto, come dicevo, il tempo. Questo è l’elemento principale di storie in cui si insegue la vita eterna, per sbilenca che sia, purché sia. Questo è ciò con cui si deve confrontare un personaggio dei fumetti che si trova maledetto perché gli hanno cancellato la “Fine dell’episodio”. Non si può chiudere e ricominciare da capo, passando alla storia successiva. L’eterno ritorno non esiste.
Di eterno resta solo il dubbio, le solite domande sulla provenienza e la destinazione del viaggio, gli anni della scuola, i Fabrizio Rocci, gli insegnanti svogliati e insensibili, i pomeriggi senza scopo, i genitori sempre troppo stanchi, il mondo del lavoro spersonalizzante e alienante, gli amori avvelenati da uomini e donne che sono il prodotto inquinato di tutto questo. È da molto tempo che Dylan Dog si trova ad avere a che fare con il lato spaventoso dell’esistenza, è comprensibile che abbia un aspetto più malandato e stanco e forse anche che l’umore non sia più quello di una volta. In fondo il suo sconforto potrebbe essere il nostro.
Chi non ha mai puntato una pistola contro se stesso?
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