La faccio corta, anzi cortissima… nonostante assuma continuamente liquidi (ma non banconote) con questo caldo venusiano.
A me non è dispiaciuta per niente. Però
non vado oltre la sufficienza perché ci sono quelle 2 o 3 cose che mi hanno sfrangiato l’entusiasmo gonadico fino ad un calo abissale di gradimento, e dai disegni di
Casertano mi aspettavo molto di più
.
Sono tempi grami, se dopo otto storie 2013 sul mensile regolare mi devo ritrovare a dire che questa è una delle meno peggio, e se riguardo le mie considerazioni precedenti la migliore, per me, rimane ancora
Leggende Urbane di un tale
Di Gregorio.
Che è tutto dire… ed appunto, visto che c’è tutto (ed il suo contrario) da dire, largo alla graforrea sezionante :
******SPOILER
______SPOILER
_____________ SPOILER
_____________________ SPOILER Per tutte le Guinness di San Patrizio
Dev’essere un periodo dylaniato in cui ogni cosa ruota attorno all’Irlanda, in attesa di un rigurgito d’IRA… (v.titolo prossimo numero) o che le nipotine di
Lillie diano fuoco a qualche pub di protestanti orangisti.
Stavolta la verde isola dà poco più dell’incipit alla storia in senso “celtico”… con la favoletta del mito di Balor&co per introdurci al mondo del folklore locale perso nel tempo, quello che non necessariamente deve combaciare col
fantasy.
Epperfortuna (di quadrifogli), visto che a parte un primo foglio da 5 vignette, l’impulso al saghismo epico (& mentale) di
De Nardo resta confinato nei ricordi di Dylan e delle sue comode letture avvincenti prima di addormentarsi. Insomma, i giochetti alla
D&D della
Piramide Capovolta o
L’Erede Oscuro vengono sventati alla svelta tramite un salto indietro nel tempo nella cameretta di Dylan: non trovo nulla di scandaloso nel suo uso strumentale, da flash minimalista e di raccordo, perché alla fine questa brevissima parentesi
non serve a profanare l’intoccabile biografia dell’Old Boy, ma solo a creare una certa (probabile) familiarità dello Young Boy con questo tipo di corpus leggendario, permettendogli una riconoscibilità di rimando anche anni dopo
.
Un affare niente male, se pensate che diversamente il Nostro avrebbe dovuto ricorrere
all’insopportabile nanetto magicoso McCloud(-ato sia, chi lo sopprimerà
) per colmare le lacune in materia: conoscendo le inclinazioni di
De Nardo direi che l’abbiamo scampata grossa, e bisognerebbe andare tutti a versare un pajo d’euro sulla sua PostePay per riconoscenza… simbolica.
Qui non c’è molto spazio per incantesimi o maledizioni: si parte abbastanza subito con un spruzzo di tensione “
action” - una cosa che
De Nardo manovra già dai tempi di
Nato per Uccidere o
24 Ore per non morire – mentre la famiglia Moran è tenuta sotto assedio dai soliti soldatacci senza scrupoli (o creme idratanti) con la povera Honey che è costretta a saltare la colazione prima di saltare in un fosso
.
Niente scuola da oggi dolcezza (9.vi), pensa a laurà: ed infatti Honey si riscopre quasi 20enne su un treno e (come tanti) dice di andar a trovare fortuna nella megalopoli… mentre in realtà vuole solo farsi i razzi suoi. O farli passare, amari, a qualcun altro
.
In treno Beth straciarla dei fattacci suoi anche senza che nessuno le dia più di tanto corda, e prova pure a rifilare una stanza da coinquilinare. Ci trovate qualcosa di strano? Io no, anche perché la disumana fauna che imperversa sui regionali a fine giornata è capace di discorsi ben più sconquassati per logica e forzature, in cerca di qualcuno che annuisca col capo o che diventi suo amico/a per una decina di chilometri… per/di coincidenza, con l’Intercity magari
.
Il mostro non ha tanto tempo per compiangersi su ciò che è – altro affarone al risparmio, contro la tiritera della bella che si fa bestia, anzi
La bestia (n° 207), e Casertano ne sa qualcosa – ma passa sbrigativamente all’azione tampinando i vari Robert Benton ancora a spasso per Londra appigliandosi ad un ricordo vocale.
Problemi? Per me neanche qui, visto che se possiamo credere ad una creatura spaventosa con le zinne che zompa sui tetti e sbatacchia i suoi sospettati (pp. 15-16), non vedo perché non dovremmo ritenere possibile che
abbia una memoria acustica fuori dalla norma umana. Magari la poteva sfruttare meglio per lavorare alla CIA o a Sarabanda… ma questi sono suoi problemi, occupazionali
.
Tra i miei echi personali, invece, ci aggiungerei un pajo di analogie dylaniate non molto significative: la caccia da segugio (
hound =
hund, in germanesco), per nome e per tentativi, a fiuto mi ricorda
Killer! mentre la creatura da incubo che minaccia di morte in caso di spifferata ha un che di
Incubus… anche se qui i Benton-s non pajono prenderla molto sul serio, visto che insieme al vicinato indignato vanno subito a piagnucolare dalla polizia, ancora meglio se il sopraintendente nepotista ci mette una buona parola (p.18)
.
Molto riuscito il primo impatto Dylan-Honey, con i pensieri della ragazza in fuoricampo, a raccontarsi (pp. 20-23); lei sì che rivela tutto il contrario di una scontata mielosaggine, e svia cosa fa da cosa pensa. Un buon esempio di
reverse psychology tipica al femminile, visto che riconosce (attratta) lo sguardo “diverso” di Dylan su di lei, ma lo incalza con la scorbuticheria stizzosa di chi vuole sbatterlo fuori dal locale, quando poi lo desidera nell’assenza o si compiace di essere pizzicottata dagli avanzi di galera toccaccioni
.
Bene anche la trafila di risposte seccate fra i denti che giustamente
dà al Dylan più cascamorto(-vivente,
Romero docet) del decennio, col suo repertorio patetico da 15enne degli anni ’50 in vena di revival farfallonici (pp. 24-25)
.
Una trafila di sciocchezze non giustificabili dalla consueta vocazione al romanticismo svolazzante del Nostro, di retorica in retorica. Vabbene l’ammore, ma il bonario stalking tragicomico sbrodola malaccio qui, e non diverte nemmeno… figuriamoci intenerire.
Bocca secca, mani sudaticce, gambe molli, fiato corto, cuore esausto, buona istruzione e no-parolacce, non sono dei buoni viatici per tacchinare con certe squinzie, caro Old Boy: rifatti un profilo serio (di menzogne) su
Badoo e ne riparliamo
.
Honey, pur sudata e tachicardica anche lei (p.27.i) ha timore di farsi coinvolgere e distrarre dal suo piano: quindi poche storie (d’amour) e sotto col prossimo Bento-n; quello giusto (
a me piace col tofu e le verdurine kawaii… chi me lo prepara per il lavoro?).
Senza esitazioni o diversioni va dritta la bersaglio, scatafascia Benton – assieme alla casa – e gli fa sputare pure qualche nome importante, prima di mandarlo rapidamente al piano terra senza ascensore. Mi è piaciuta la grinta che
Casertano dà alla collutazione/inseguimento in terra di Scozia (pp. 30-31), abbastanza meno il fatto che quelle teste di cuojolo si mettano a discutere di postriboli ed escort sfrenate nel bel mezzo di una missione “mostruosa”. Mancanza di concentrazione … o di fr**na, nel caso
.
Non sono molto d’accordo con chi, sulla fotografia del mostro-Fomor (p. 38),
ha rinfacciato a Bloch di essersi improvvisamente convertito al sovrannaturale, sconfessando mestiere e abitudini mentali più o meno note, come il ritornello della droga nebulizzata.
Motivo tecnico:
De Nardo non poteva fare a meno della foto per coinvolgere capo&piedi Dylan nella storia e relative indagini. Ci voleva la prova scottante ed interessante, a livello materiale, per invogliare un Dylan respinto ma preso dalle farfalle nello stomaco - causa indigestione di Honey
– e già molto scettico di per sé per/in principio (p. 18). Anche per spedirlo ad Hidden Creek sarà necessaria per la sceneggiatura un’altra foto (p. 55).
Motivo fra le righe: questa storia non è un giallo realistico, la
suspension of disbelief è l’invito scontato da convertire in biglietto all’ingresso. Bisogna accettare a priori che esistano i Fomor, per partito preso, perché non è la loro esistenza il motivo dell’ “incubo” (v. noncuranza del massacro tra pp. 75-76), ma l’escalation di violenza ereditata che uno di loro deve risolvere, e concludere, in sé. Per questo, dopo oltre 20 anni delle esperienze più assurde dietro a Dylan, ci può stare che ogni tanto l’ispettore prenda per buona qualche assurdità e la riporti a Dylan, tentando di farlo preoccupare.
Non sarà deontologicamente poliziottesco, ma anche Tomas Milian aveva i suoi grilli…’mbriachi
.
Ancora una volta mi è piaciuta l’incoerenza dei pensieri più nascosti di Honey, quando tenta una ricongiunzione con Dylan (pp. 39-42), tra desiderio, estasi erotica, (s)fiducia, oscillazione delle priorità, riscoperta della gioja, e richiamo ancestrale alla vendetta.
Galeotta fu la foto, al contrario, visto che ci scappa una constatazione poco amichevole di tradimento in carta bollatissima. Buon per Dylan che la disillusa Honey si sia auto-liquidata stampando un semplice “Ti odio” sul retro, invece di squartarlo a piene zanne sul davanti mentre sussurrava “Ti amo”
.
Sulle indagini dotte ed edotte nulla di particolare da segnalare.
Ritmi cadenzati, tutto molto già visto, come la visita in biblioteca e l’insopportabile miliardario mattoide di routine che va dietro a kissakuale leggenda d’onnipotenza mitica
.
Molto poco credibile che un illustratore di favole/saghe come Brussack si trasformi in questo genere di losco figuro, sia per gli incassi (scarsi) del mestiere, sia per la sensibilità trasognata che dovrebbe preservare: se
ricordate l’incantevole coppietta fatata di Cavaletto in
L’armata di pietra saprete a cosa mi sto riferendo.
Buttata al vento l’opportunità di ricongiungere Dylan ad un personaggio (mediatico) della sua sfera pre-adoloscenziale, con tutto l’alone di incubo, magia, e mystero che ne poteva derivare… mentre qui lo si riduce alla dimensione gretta di un meschino megalomane, esaltato e pasticcione, con tanto di fido spallaccio di buone maniere al seguito
.
Anche la pista hitleriana era carina come retroscena di fatti (pseudo)storici e congiure danbrowniane, ma è stata lanciata come semplice accenno per privilegiare una ricostruzione abbastanza fedele dei punti salienti delle vicende di Balor, secondo la tradizione. Un Wiki-salto vi confermerà anche che Kian (o meglio Cian) fu suo genero e che generò il nipote traditore Lug, mentre qui sta dalla parte dei Fomor come loro discendente, in Scozia, nel 2000.
Dopo qualche rallentamento proprio in Scozia la storia riprende ad accelerare di gran carriera, anche perché Rufus McKay guida come un dannato, mentre Dylan come sempre non capisce di essere pedinato. Non una grande perdita per il corpo della polizia, quindi. Tutta l’atmosfera della trasferta scozzese beneficia della
comprimarietà di un arzillo vecchiaccio come Rufus, uno che mi sta alquanto simpatico non solo per come tampina&importuna le donne in età da nipotaggio, ma soprattutto perché è convinto di quello che fa e sembra non crederci quando viene scacciato in malo modo. A differenza di un certo Papisilvio è surrealisticamente divertente, mentre sul lavoro abbastanza cazzuto ed intuitivo
.
Il colloquio con i genitori adottivi ci sta tutto (pp. 62-63), mentre non capisco molto l’utilità della confessione lacrimevole della madre sulla vera identità Fomor di Honey (pp. 67-69): in quel momento Dylan aveva già intuito parte dei casini in cui era coinvolta la ragazza, e la
trasformazione in cameretta post-maturità dei 18anni ha davvero del buffonesco, come la successiva convivenza col “mostro” prima della fuga. C’è chi vuole l’auto a quell’età, mentre c’è chi preferisce un treno… per andare a massacrare dei mercenari.
Valliakapì stì giovani d’oggi
.
Sconfortante ma auto-sarcastico l’effetto del siparietto osé tra Dylan e la receptionist del Webster Hotel che gnoccoleggia con lui (pp. 70-71): dopo tutte le menate sviolinate ad Honey sul suo amore ipercosmico, nel giro di meno di mezzo albo ecco il nostro
t(r)ombeur – e
trompeur –
de femmes intento a stropicciarsi con la prima che capita… in nome della nobile filosofia “ogni lasciata è persa”.
Non che faccia male, figurarsi… davanti a due “occhi” così (p. 60.ii)… però questo
rende ancora più farsesco il coma diabetico indotto da quanto sciorinato prima per Honey all’uscita dal pub.
Efficacie la resa della trappola in cui casca alla fine Honey in casa di Janvier, sia per i suoi sospetti sulla calma apparentemente piatta (pp. 73-74), sia per come le sorti dell’azione azzuffata vengono ribaltate da un ricatto a portata di cellulare.
Buona lo sospensione in ellissi della scena e l’instradamento di Dylan, tramite telefonata a cuore aperto, verso la resa dei conti nella magione di Brussack.
Qui la resa dei conti è abbastanza sbrigativa, anche perché Dylan gli unici (brevi) conti che deve fare sono con le mazzate che incassa da Brussack ed il suo impomatato gorilla Oswald. Per essere la protagonista della storia qui Honey passa un po’ troppo in secondo piano a mio vedere, per quanto offuscata scusabilmente da anestetici e trasfusioni varie. Ma l’istinto di conservazione prevarrà, attraverso la trasformazione ed una sveglia con tanto di carezza .
Non è dotato invece di grande istinto conservativo il nostro illustratore plurimilionario, perché dopo aver rivelato (a sorpresa?) che l’occhio di Balor è già in suo possesso – e fatto sentire Dylan Qualcosa sciaguratamente in colpa per averlo portato dall’ultima Fomor ormai in circolazione – non riesce a controllare da ebete qual’è il potere distruttivo di cui ora è maldestramente in possesso… patatrackkando un crollo finale di ben sei pagine, di cui due molto belle per merito di Casertano (pp. 94-95).
Bentistà e tutti a casa, tié
.
Una soluzione molto pataccara e dozzinale per come risolve in modo elementare ogni cosa, anche perché il caro Jarl senza-palpebra avrebbe dovuto sapere che proprio secondo la leggenda Balor si era fatto serrare l’occhio da una specie di saracinesca, per motivi di sicurezza, e che ogni volta che voleva aprirlo gli servivano quattro scagnozzi per maneggiarne i chiavistelli.
Come un boomerang arrivano dall’Australia conferme confortanti di vendetta, e Dylan è felice di brindare al
Waiting for Tomorrow…aspettando (per domani?) una prossima “limonata” in compagnia di kissakkì
.
******Soggetto:
5 +Un’altra semplice storia di vendetta al femminile, stavolta per cause di famiglia. Ma qui ci sono davvero creature da paura a farla da padrone, senza paura di incasinarsi allo scoperto. Un tributo di sangue per una ventennale caccia a dei poteri sovraumani, riciclati da saghe popolari ancora in vena di guai postumi
.
Va bene per
Dampyr, forse per
Martin Mystère, non stona con
Dylan. Però si liquida con estrema facilità e non fa presa su nessuna tematica extra da “incubo”, visto che la leggerezza del ritmo manca di atmosfera
.
Fortunatamente il
fantasy è uno spauracchio solo sfiorato.
Sceneggiatura :
7 – Qui
De Nardo se la cava con molta scioltezza.
La storia scorre di gran carriera senza troppe pause, cattura l’attenzione per l’evolversi dei fatti e non per la soluzione di un mistero (già spiattellato in partenza), mentre i comprimari funzionano a meraviglia, tranne la macchietta di Brussack e Groucho di contorno
.
I dialoghi non hanno bisogno di brillare,
ma i pensieri in fuoricampo di Honey sono davvero nettare sincero di puntuale contrappunto.
Dylan è manovrato abbastanza bene: a parte la caduta di (qualsiasi) stile per il corteggiamento in strada non eccede in discorsoni, mumbleggiamenti e risposte autistiche. Sembra quasi fare il suo mestiere, senza girare a vuoto, anche se come spesso capita non è stato assunto - in cielo.
Non tutte le forzature sono necessarie, e sul finale si poteva fare molto meglio, a livello di t
wists .
Disegni :
6 +Casertano perde un po’ del suo slancio smaltato e dell’oscurità sofferta delle penultime prove (v.
La seconda occasione,
Il divoratore e
Le Storie x 2) per tornare al simil-grottesco pacioccoso che a me proprio non piace. Solo quando le scene si fanno più “aggressive” sembra riprendersi in senso dylaniato, come per il raid degli incappucciati o per le varie aggressioni
.
Non male il Fomor in fase d’assalto, ma finisce per sembrare più un essere da rissa che da incubo. Ha una predilezione non da poco per Honey che è molto più slanciata e dettagliata del resto dei personaggi
.
Molto al risparmio per gli esterni tozzi di palazzi e villoni, e su alcune vignette di routine (per esempio 32.v e 55.v). Molto meglio il bujo che abbraccia Honey in cantina, le rievocazioni celtiche, e la morte vista in faccia, sul pavimento, dal vero Robert Benton (p. 34.iii)
.
Copertina:
5 ½Cominciamo male con due volte consecutive lo stesso colore del logo, rispetto al mese scorso
.
L’effetto corposo delle spennellate computerizzate è buono, ma la squadratura possente del villone in prospettiva finisce per farne il protagonista involontario. Sul ciuffo di Dylan avete già parlato.
L’effetto del mostro in (ampio) secondo piano penalizza il resto, ed anche il texture del tratto per lui è diverso dal resto: sembra appiccicato lì. Con tutte le illustrazioni che esistono sull’occhio di Balor, quello di
Sauron, e anche solo quello di
PeeWee,
http://www.sergiobonellieditore.it/scheda/8952/GrandeRistampa-n-33.html si poteva fare molto meglio di quest’inutile appendice neanche decorativa
.
******Adesso vi lascio perché devo controllare se la cameriera del mio pub preferito rincasa da sola dopo avermi negato una (prima) limonata. Si sarà forse insospettita visto che di solito vado giù di Tennent’s Super? Speriamo non vanti parenti scozzesi con la coda, tirchieria a parte.
UN McALOHA (con patate & patatonze)