Ritornando da un weekend di non-fuga, si chiude l’incontro – a metà strada? – di ping-pong tra ritornanti e fuggitivi degli ultimi due numeri, con un risultato meno scadente ma ancora abbastanza sconfortante
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La storia in sé per sé, o meglio,
prima di dover sboccare nel necessario scontro finale appiccicaticcio (p. 73), mi era anche piaciuta, complici i disegni di alta caratura horror (e fantasy) di
Di Vincenzo ed una buona tenuta della tensione. Quello che però avviene dopo affonda tutta il resto, e fa venir voglia di “fuggire” verso altre mostruosità.
A volte ritornano: ed infatti
Di Gregorio ricade su alcuni dei suoi difetti cronici nella sceneggiatura, che in storie più leggere da divertentismo sgangherato, come
Leggende Urbane, riescono anche a non emergere , ma che qui si spiattellano in tutta la loro evidenza. Senza illudersi verso fughe in mondi alternativi, si ritorna sempre prigionieri delle proprie carenze denavorta… e ad Harlech avanza sempre un posto.
Vitto, alloggio, ed agguati compresi
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Vorrei pensare ad una realtà in cui scriverei solo recensioni sintetiche: ma simili aberrazioni sono destinate a futuri tempi da incubo. Per questo adesso bisturizziamo in mattanza, ad oltranza, di paranza…che è una danza…ecc...
*****SPOILER°°°°°
SPOILER°°°°° °°°°°
SPOILERPronti, via… ed attorno alla Dylan-magione chitticircolamai? Io non lo so, ma
il tipo disegnato con la barbetta e sguardo furbetto in primo piano sulla destra (p.5.i) è troppo dettagliato per non essere un omaggio o un riferimento a qualcuno noto al carrambante
Di Vincenzo. Senza frugare su Instagram, magari ce lo farà sapere nel giro di qualche post
.
Intanto l’Old Boy non prova a frugare con neanche un po’ di tatto nel passato della sua aspirante cliente, ma la trattiene con una piega di umorismo strafottente e di indolenza da domestico mancato –
davvero antipatico – che cozzano non poco con l’urgenza folle di Berenice, di essere creduta e farsi sopprimere in quanto (sedicente&seducente) contenitore di pericolosa mostruosità.
Bella l’idea fuorviante di dare la precedenza grafica alla realtà “dissociata/alternativa” di Berenice secondo il suo punto di vista, che permette anche di rincarare il contrasto tra la serietà dei suoi problemi e la svagatezza inconcludente di Dylan, che giustamente se la fa sfuggire… e comunque non si sarebbe spinto oltre il consueto “trovati uno psicologo, ma bravo” per liquidarla
.
Uno psicologo – forse non tanto bravo – teneva già in cura Berenice, e questo lo veniamo a sapere da un Bloch più circospetto del solito e meno passacarte nella gelosia delle proprie spifferate. La fa un po’ troppo grossa sul numero dei cognomati come “
Slider” a Londra – manco fossero i Miller o gli Smith
– ma forse serviva a scoraggiare Dylan dalle sue folli iniziative.
Manco a dirlo: una vignetta dopo eccolo a precipitarsi verso Harlech, dove soltanto un pazzo come lui (p.17), o di chi gli scrive certi dialoghi, può definirsi pervaso da un’atmosfera di serenit…àhia!
Ed infatti incappiamo d’urto nella solita aggressione di Lord Chester, in vena di affettuose rimpatriate di wrestling
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Qualche parole di circostanza sul profilo psichiatrico della disturbata Berenice – nome parlante della protagonista di un
racconto di Poe, anche lei con qualche problemino di dentatura sporgente – e qualche dettaglio di troppo sui sistemi di sicurezza infalli-/-abili di Harlech, che guardacaso vengono raggirati bellamente da Berenice, senza che nessuno tra infermieri e custodi se ne fosse accorto: un buon viatico per spoilerare già i sospetti sul finale e farsi un’idea del complice/plagiatore di turno (p. 21).
Io avevo intuito già tutto da qui, e penso lo stesso per molti altri lettori: l’indigestione di foglie (s)cadenti mangiate prosegue… dopo i sogni mozzati del mese scorso
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Ma per fortuna subito dopo fa capolino la parte più interessante dell’albo: la realtà “aumentata” dark-fantasy (ed anche
Brendoniana) in cui si aggira Berenice prende il sopravvento, ed invece di presentare quella di Dylan come un’indagine da cuoredoro preoccupato per la fanciulla raminga, rende la fuga come una caccia serrata/spietata al mostro, attorno a cui girano personaggi poco raccomodabili, congiure settarie, spiriti senza pace, borghi medievanti, creature dell’oscurità e violenze demoniache
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Qui l’atmosfera, anche se non molto dylaniesca e più da RPG (v.
I Cavalieri del Tempo, ed il salto in armeria di p. 34), rende benissimo, mentre si fa strada un Van Hel(l)sing Dog schietto, truce, e ficoso, pronto a fiutare la pista di sangue di un osso molto duro da metter in brodo. Un mostro che non si fa abb(r)ordare come la prima che capita, soltanto perché un po’ alticcia in una locandaccia poco raccomandabile, e quando ce n’è bisogno, sa sfoderare gli artigli invece della limatura col
french o una bomboletta al peperoncino calabrese (pp. 26-28)
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Non credo che qui Di Gregorio sbagli nel creare per Dylan-Helsing una realtà alternativa/sfasata e che
non corrisponde alle conoscenze effettive di Berenice: sicuramente lei non sa che è Dylan andato ad Harlech o all’armeria, e perciò queste parti non possono essere ricostruzioni in chiave deformante, fatte dalla sua mente deviata per spiegare lo svolgersi di avvenimenti che la vedono protagonista a sua insaputa.
Si tratta, invece, più di sovrapposizioni ed interazioni dei piani due piani realtà, in cui l’immaginario di Berenice prende il sopravvento in anticipo e quasi autonomamente dalle conoscenze di lei: così si genera da sé una trama parallela – ed altroquandica? – di contro-eventi, fatta di simboli e rimandi inconsci, per portare a termine entrambi i filoni e ricucirli verso lo scontro finale, la summa-effetto di tutte le cause che si rincorrono, o concorrono inseguendosi
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E’ anche la storia che immaginerebbe in retrospettiva Berenice-malata per spiegare la quadratura degli eventi, con protagonista la sfida tra Berenice-mostro e Dylan-Helsing.
Tornando sulla grama trama in terra londinese, Berenice decide di interrompere la sua amica Connie mentre si spalma con grande cura in pieno
négligé da acc(hi)appatojo (p. 37)
, ma una telefonata di troppo rischia di mandare per sempre all’aria la loro amicizia, ben sospesa sul filo prima dell’aggressione (p. 42), come prima era stato reso con un certo
savoirfaire ellittico lo scambio tra Bloch e Connie per telefono, anche qui non visualizzandolo (pp. 40.vi – 41.i).
Finalmente Dylan si decide a parlare con i genitori del giovane “mostro” – è la seconda volta che lo fa nel giro di un mese, non mi stupirei se il mese prossimo andasse a portare direttamente le pagelle a domicilio o chiedesse spiegazioni sulle assenze nel secondo quadrimestre
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E qui sbuca
un diario che più improbabile non si può, aggiornato fino a due giorni prima della fuga di Berenice (p. 63.i), e che giustamente non è stato né controllato né sequestrato sia da Scotland Yard che dalla clinica. Bella mossa Dog, con dei concorrenti così nelle investigazioni, pure il
Commissario Lo Gatto arriverebbe in anticipo sul caso
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La dipendenza da un fantomatico farmaco manda letteralmente in bestia dark-Berenice, che non può fare a meno di prendersela con altre bestiole – forse una trasfigurazione dell’allarme ululante? – squartando a più non posso come ogni cliente brutalizzato dalla sgarbatezza del negoziante di not-turno
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Davvero suggestiva, specialmente grazie ad un
Di Vincenzo in palla-pallonetto- e gollasso, tutta la sequenza trasfigurata del viaggio nell’anima oscura di Berenice; nero di china possente che consuma l’incubo come raramente accade di questi tempi
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Si comincia in profondità con la spirale dentata di scalini (p. 56.i) – a me ricorda qualcosa in
Horror Cult Movie, ma forse mi sbaglio – si finisce con l’esplosione di malvagità che viene sprigionata dai demoni interiori di Berenice stessa (e forse anche di Dylan-Helsing), passando per un’apparizione dal pozzo dei segreti, tanto visceralmente cosparsa/iniettata di sangue, quanto etereamente priva di capezzoli in carne… che distrarrebbero il lettore – e che tra l’altro mi ricorda un episodio di
Lilith di qualche tempo fa, a livello grafico, tette metafisiche comprese.
Nizzoli non docet .
Forse alquanto scontato il solito discorsetto sull “
abisso che ti guarda dentro” (p. 59), ma tutto sommato non possiamo pretendere che gli spiriti sfoggino nuovo perlame di saggezza per farsi capire, come qui, a morsi
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Meno sconvolgente, ma più emblematica, la tappa successiva del
quest di Dylan-Helsing, dove ancora una volta
Di Vincenzo si scatena a livello di disegni tenebrosi con la sala degli specchi pendenti e la sfinge oracolare (pp. 66-69), in doppia maschera come la realtà duplice che confonde, e tanto di tatuaggio mistico.
Parlo di
sfinge invece di chimera perché è la sfinge generalmente a svolgere una funzione oracolare, a possedere (almeno) un viso umano, ad esprimersi per enigmi/mezze frasi, ed inoltre a questa creatura mancano anche alcuni attributi della comare chimera come… il serpente in coda o la testa di caprone in sella.
Una sella compare poco dopo nelle “antiche fornaci” in cui Berenice si rifugia per ripararsi dal suo cacciatore, che invece ha già individuato nel “villino” abbandonato (p. 73.iii) - ma se sembra una casa coloniale trifamiliare
– la probabile tana della fuggitiva.
Da qui in poi la storia subisce un crollo verticale per pathos e intensità, anche a livello di fantasie incrociate: quasi inutile l’omicidio degli sbandati, Dylan mumbleggia in modo irritante mentre si aggira fra le rovine incatapecchiate, e lo scontro-confronto non ha nulla di simbolico o ad effetto, se non l’escamotage di nascondere il suo vero esito per non far figurare quello che già sappiamo dall’inizio della storia, ovvero che Berenice non è materialmente colpevole dei delitti… non in questo mondo almeno
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Salvo solo la parte alternata in cui scocca il dardo/proiettile verso il cuore straziato di mostruosità di Berenice (pp. 82-84), mentre abbasso pollice, alluce e senzaluce per un poco credibile Old Boy che punta gratuitamente la pistola al cospetto di una Berenice (ancora) disarmata (pp. 79-80) credendo di essere in questo modo persuasivo e dandogli pure la possibilità di armarsi nel frattempo
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Lezioncina di qualunquismo sempreverde alla
morgue, per riportarci alle crudité scondite della realtà, con tanto di fraseologia di circostanza tra colleghi in vena di ciarle sulla normalità e la riconoscibilità dei mostri, con o senza pelo, ma molti vizi…
unshaved (pp. 85-86)
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La ricostruzione realistica e realizzata da Bloch con Dylan è quello che poi toglie definitivamente appeal fosco alla storia, anche se per fortuna dura molto meno di uno spiegone canonico. Come spesso accade, Scotland Yard è in ritardo su impronte e tabulati, e veniamo a sapere che in realtà il mostro è quel manesco dell’infermiere Milligan,
uno degli assassini più assurdi e sconclusionati dell’intera epopea dylaniesca
.
A parte mostrarlo brevemente nella prima apparizione di Lord Chester (p. 18) poco o nulla verrà detto della sua psiche disturbata, o quantomeno un tantino irritabile, se non dell’amore impossibile tra lui e Berenice, e la sua complicità nella fuga, nel tentativo di plagiarla o di indirizzarla kissaddove. Guardacaso, proprio per rendere ancora più credibile la sceneggiatura, sbuca puntuale giusto in tempo ogni volta che c’è da menare le mani o squartare qualcuno per difendere la sua “bella”, come neanche il buon Grimo avrebbe osato… e son giù botte da orchi
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Ancora peggio è il suo piano di fuga, ammesso che ne avesse uno: sguscia via di stile da Harlech con Berenice e poi che fa?
La lascia tranquillamente in giro a piede libero per giorni e giorni, pur sapendo di tutti gli scompensi di cui soffre, dei guai in cui si caccerà o delle paranoje in cui fermenterà… col rischio di venire anche sputtanato in un (non improbabile) vacillamento della ragazza, tentata dal confessarsi, anche in maniera allegorica.
Al massimo si degna di chiamarla
una tantum come un maritino ipocrita per rassicurarla e temporeggiare non si sa a quale pro. Persino un pajo di tredicenni
nerd-osi saprebbe dargli qualche consiglio migliore per una fuitina d’ammor
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Fa insomma la figura dell' orco fesso mentre la sua principessa vola verso altre favole… come una favola che ci viene fortunatamente – per pudore
– risparmiata è quella del modo scenico in cui Dylan riesce a divincolarsi bellamente tra Berenice con gli si getta addosso di pugnale brandita, Leonard armato sullo sfondo, e la pistola da usare con prontezza (p. 90.iii). Neanche
Walker Texas Ranger a lezione da
Jackie Chan e
Renegade avrebbe saputo cavarsela meglio in una situazione così incasinata, figuriamoci il povero
Di Vincenzo con delle vignette acrobatiche da escogitare su misura
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A parte l’inutile
replay del solito agguato di Lord Chester (p. 94) e l’ottimismo sparacchiato a salve dal dottore (p. 92.iii), qualche spiraglio di ambiguità, per quanto poco intrigante, è rilasciata dal finale… sospeso ancora su un filo di (in)sana inquietudine.
Siamo davvero sicuri che Berenice sia poi guarita? Il fatto di aver rimosso (o di dire di aver rimosso) ogni fatto accaduto non è tanto rassicurante in sé, nel suo profilo traumatologico come nel suo contatto con la realtà
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Alla fine è probabile che abbia raggiunto quello che a livello inconscio ha desiderato con sempre più urgenza: la scissione tra la sua identità e quella dell’altra Berenice, il mostro da lei inventato, con cui e da cui avrebbe voluto fuggire, assieme a tutta la dimensione in cui imperversava con sofferenza. Dark-Berenice non è morta, ma è stata soltanto soppressa dal suo animo con un colpo-trauma letale, (s)cacciata via per confinarla per sempre in un altro non-luogo, questa volta libera di non dover fuggire oltre col suo non-più-Grimo, e di poter ricongiungersi in serenità con lui, dopo che anche l’amato ha subito un “rito di passaggio”, al costo di un po’ di piombo piantato nel petto, per trasfigurarsi in una presenza più amorosamente concreta del solo viso di uno spiritello parlante al cellulare, senza scatti alla risposta, ma con molti scatti d’ira
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******A livello di cifre nun me ritrovo… ma ce provo:
SOGGETTO:
6 ½ Come osservato da altri, l’idea della ragazza che si pensa un “mostro” o delle realtà di auto-suggestione in fuga
on the road …. sono state già consumate su queste pagine con maggiore successo, vedi
Ananga! Anima Nera,
La Strada per Babenco.
Qui però l’alternarsi delle dimensioni riesce a mantenere un suo fascino, l’ambientazione dark-fantasy sembra azzeccata, l’oscurità della mente pare insondabile, ed i dualismi/inversioni nelle due narrazioni sono ben sfumati ed intrecciati, anche perché la seconda non è una semplice trasposizione della prima, ma svia e nasconde dell’altro…-quando
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Non so se con
Cossu ai disegni questo fascino sarebbe rimasto tale… ma sono certo che neanche
Schiele avrebbe salvato la decadente semplicioneria dell’ultima parte che rovina quanto di buono intavolato prima
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SCENEGGIATURA:
5 Un punto in meno per la mediocrità delle pagine dall’ingresso nella “fornaci” in poi
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Prima il ritmo si era difeso benino, con alternanza di 5 fasi tra Berenice-reale, Berenice-mostro, Dylan-reale, Dylan-Helsing, e un Bloch-senzasperanze, per quanto una fuga vera dovrebbe avere delle modalità meno cadenzate ed una tensione più palpabile, mentre qui il gironzolare a rilento di Berenice (e di Dylan) sembra tutto tranne un inseguimento all’ultimo respiro…corto
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Dylan non fa sermoni, non s’innamora da lesso di bue, e non si lancia a cuore morto. Dialoghi insignificanti quando leggeri, un po’ più significanti quando al di fuori di Londra, tra strane creature ed oscurità dell’anima.
Sembra che le ultime pagine siano state troppo diluite per carenza di idee, dopo lo scontro finale: molto male, perché si potevano spendere
per approfondire un po’ meglio la mente malata di Milligan od il suo rapporto ambiguo con Berenice. Come già detto un personaggio più rabberciato non si poteva trovare. Tanto vale cancellarlo proprio nell’anonimato e lasciare qualche vignetta a Groucho, assente per scelta tecnica. Vattaffidà del coach…
DISEGNI:
8 Poco da aggiungere.
Di Vincenzo ottimo, fa il suo mestiere dal profondo delle tenebre e crea delle sequenze davvero sugose, specialmente nella dimensione
Brendoniana, dove può sposare sangue, fantasy, violenza, armi, tetti adunchi ed arcanismo, a partire dal pozzo dei segreti e dalla sfinge tra gli specchi
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Dylan-Helsing è molto cool, le trasformazioni di Berenice molto “realistiche”, come umanamente toccante la sua faccia mostruosamente commossa dal rimorso a pag. 28.
Se proprio vogliamo trovargli qualche approssimazione, forse poteva impegnarsi un po’ di più sul delirio dipinto sul viso degli ospiti di Harlech (p. 20.iii) e sulle fattezze di Connie, che cambia quattro fisionomie diverse nel giro di sei pagine (pp. 37-42)
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COPERTINA:
8La migliore da oltre un anno. Buona regia per la scelta della scena "figurata" da rappresentare, per quanto non sia presente nell’albo. Dylan e le sue paure riflesse sono rese con efficacia, ed il balestrato di spalle incuriosisce.
Forse il titolo generalista non le fa abbastanza giustizia
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*****Adesso vi lascio perché devo rincorrere quel vampiro che dice di essere il mio meccanico, e crede di vivere in una realtà parallela fatta di pezzi introvabili per collezionsiti, guasti abnormi visti solo da lui con la collaborazione dei folletti, e preventivi epici lunghi tomi di pura fantasia.
ALOHA AL TAGLIANDO. IN GOLA