Nel giro di due mesi abbiamo avuto un bignami completo della Barbato che non vogliamo [più] vedere: la sadica torturatrice di poveri Dylan indifesi e quella che scrivo-perché-devo. Dove sono finite quelle meravigliose architetture d'angoscia che ti davano l'impressione di stringere in mano la vita invece che un semplice fumetto? Il prezzo della morte tolse il sonno alla mia ragazza dell'epoca.
Sono finite in un tempo che non c'è più - inteso come periodo storico e come tempo concreto di un'impegnatissima madre di famiglia -, in un'ispirazione che segue a ruota in quanto temporalmente situata e nei manifesti di un Recchioni che sostanzialmente non sa cosa fare. Ed è un Recchioni a cui, beninteso, attribuisco ben poche colpe. I suoi editoriali sono tremendi perché deve rivolgersi ammiccando a una platea che lo rigetta. Se già sai che stai per scrivere un qualcosa che verrà additato come "tremendo" su un forum, la voglia ti passa. Anticamente, anche un "nun ce rompete" era percepito come segnale romantico fra due poli che si intendevano al volo in un clima generale di consenso. Ed era un piacere sia scriverlo, sia leggerlo. Qui invece si passa da una pallida e confusionaria ricostruzione storica del tema dell'albo all'ironia tracotante di chi deve farsi accettare, fino alla marchetta compulsiva. Ma semplicemente perché il registro, il tono e il tatto dell'editorialista non gli appartengono. Un premetto-perché-devo che coerentemente precede uno scrivo-perché-devo. Ecco, ciò che permea questa nuova gestione è un forte senso del dovere a valanga sul piacere, a tutto detrimento della libertà creativa.
E al RRobe non appartiene neanche il genere che deve andare a raccontare. Recchioni alla guida di Dylan Dog è come un illustre ortopedico chiamato ad aggiustare un tubo che perde. Magari nel suo campo sarà un'autorità, ma semplicemente non parla il linguaggio dell'idraulica. Prova ne è il fatto che, non appena mette piede fuori da Dylan Dog, cambia quasi completamente genere. L'horror è davvero il grande assente della nuova gestione, a favore di una sfrenata copula gualdo-rujana che non può che generare una prole somigliante: tanti piccoli gialletti sbiaditi con un fiocco soprannaturale. Ma qui siamo ancora fuori dal campo dei demeriti. Se è un ortopedico, fategli fare l'ortopedico. Il problema subentra nel momento in cui, già che si trova lì, l'ortopedico neanche ci prova ad aggiustare il tubo, ma piuttosto mi va a cambiare una lampadina perfettamente funzionante. E al suo posto cosa mette? Una continuity che irradia luce marrone cacca. Ora dico, la Barbato ha recentemente scritto su Facebook che sta scrivendo una storia che vedrà la luce fra un paio d'anni. È come se uno sceneggiatore fosse all'opera su un episodio della decima stagione di una serie che è ancora alla prima. È chiaro che poi il pastrocchio è dietro l'angolo, e l'andamento schizofrenico e balbettante delle novità introdotte è lì a testimoniarlo. La continuity è una roba che va pianificata con estrema attenzione e coerenza, non un'appendice mobile che puoi andare a innestare ad cazzum come un rene artificiale. Quello te lo rigetta per forza, soprattutto se non ha mai avuto bisogno di un rene artificiale. Dylan Dog non ha bisogno di una yankeezzazione virulenta, di un'americanizzazione globale, di Sherlock H. Block [...], di Abel Cedric Jenkins [.....], di Carpenter, Rania, John Ghost o Irma. Tutti orpelli superficiali. Ha bisogno di ritrovare il sangue, il sudore, lo sperma, lo schifo, il disgusto, l'orrore, la solitudine, il disagio, la prostituzione, la merda, il mostro deforme, per restituirgli dignità poetica. Dylan Dog ha bisogno di se stesso. E di un Groucho che risponde al telefono per sparare cazzate, non per tramare complotti.
All'epoca funzionò perché a far suonare la lira non c'era un illustre ortopedico, ma una banda di anarco-punk incazzati neri con la voglia di spaccare tutto e di vomitare nuove sperimentazioni, nuove visioni. Qui invece si è succubi dei nomi e dei sacrifici umani al dio del marketing. Di una Barbato ormai completamente appannata che sferra pugni a vuoto da anni [ma farla riposare un attimo pare davvero così brutto?], di un Simeoni che si è dimostrato non all'altezza da diversi punti di vista, di un Medda che è fuggito dopo aver suonato al citofono sbagliato, di un Recchioni che, oltre al suicidio artistico di Mater Morbi [perché così mai più, e al confronto soffrirà sempre], sta guardando in direzioni che potrebbero trasformare in oro qualunque cosa, ma non Dylan Dog. Sono tutti autori sontuosi, che però ci hanno già regalato i loro incubi migliori/peggiori. Mi ci gioco un testicolo che, previo consenso diretto, Recchioni avrebbe riportato dentro anche un Chiaverotti fuori tempo massimo e uno Sclavi che preferirebbe farsi divorare da una pianta carnivora piuttosto che tornare a scrivere per l'Old Boy - quello vero, non il Maxi.
I miei due centesimi, giusto per dare un minimo di seguito anche all'homo construens che è in me: facciamo cantare qualche ugola giovane e affamata, non di denaro ma di carne artistica. Usciamo dal circolo vizioso dei soliti nomi, soliti noti. Togliamo paletti inutili e ridondanti, perché il 2015 fa schifo tanto quanto il 1986, e su quell'onda c'è tanto di nuovo da raccontare. Rimettiamo ciascuno al suo posto, l'horror in primis. E magari un po' di ironia va', che dallo schifo ogni tanto si deve pur evadere.
Magari la Baraldi, in questo senso, potrà aiutare. Che dite? Provo ad attenderla con fiducia.
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